"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

lunedì 14 gennaio 2013

Libero fiore in libero cuore


Prese un fiore e lo lanciò in aria. Non sapeva che fiore fosse, ma ne mmirava la superficie colorata, le venature sottili dei petali, le minuscole curve che ne decretavano l'antica sinuosità. Comprese. Quel fiore era eterno.
Disse: io amo questo fiore.
Guardò il suo corpo nudo e pensò che non sarebbe mai stato bello quanto il fiore. Perché quest'ultimo era un simbolo che si perpetrava nel tempo di un mondo in cui i fantasmi parlavano ai vivi attraverso le loro azioni. La ragazza si stese a schiena in giù sull'erba e guardò il cielo in cui poco prima aveva lanciato il fiore.
Disse: io amo questo cielo.
E il fiore nascondeva tra le pieghe dei suoi petali la storia dell'uomo, la più sofferta delle storie. Si alzò a sedere e vide in lontananza un ragazzo. Si avvicinava a passi lenti e pesanti. Le sembrò molto stanco. Non c'era nulla attorno a loro. Solo prato e fiori. Centinaia di tonalità diverse sullo sfondo azzurro dell'infinito. Alzò la mano e la sventolò per farsi notare dal ragazzo. Egli la vide. Anche il suo corpo era privo di indumenti, ma nessuno dei due provava pudore. Erano indifferenti da tutto ciò che normalmente limitava l'esprimersi dell'essere umano. Egli le fu di fronte e le sorrise. Sono tanto stanco, disse.
La ragazza gli fece segno di sedersi accanto a lei.
Che cosa ti turba, gli chiese?
Il mondo, rispose lui.
È tutto qui, il mondo. Non c'è niente di cui preoccuparsi. Vedi...
E gli indicò la distesa verde e sterminata di fronte a loro.
Il ragazzo allungò una mano e le fece una carezza, lentissima e delicata. Non intendo questo mondo. Non è reale ciò che vedi.
Non è reale?
Il ragazzo scosse la testa e la baciò sulla fronte. È un sogno, le disse. È la nostra idea di libertà. Ma ti sveglierai e sarai nel mondo, quello vero. E ti alzerai dal letto e ti preparerai per andare a scuola. E avrai dei vestiti perché farà freddo. Non incontrerai prati sterminati e distese di fiori durante il tragitto. Resterai chiusa per sei ore in un edificio ad ascoltare le idee degli uomini e delle donne del passato. Quasi sicuramente non ti chiederanno di esprimere la tua, di idea. Pretenderanno che una volta tornata a casa ti metta a studiare ancora e ancora. Ma non è la scuola, il problema. È questo non essere liberi. Mi capisci? Non potrai essere come sei ora, là fuori. Avrai delle barriere. Tutta la vita.
La prese delicatamente per il mento, le alzò il viso e la baciò.
E lei sentì tutto il calore del sole esploderle sulle labbra.
E dentro, nel corpo. E risaliva per le mani, sulle dita, sui polpastrelli. Un brivido caldo che non credeva sarebbe mai stato possibile provare ancora.
Io non voglio avere delle barriere, disse la ragazza sottovoce mentre si staccava dal bacio. Voglio essere così come sono adesso. Perché non è possibile? Sono sicura, dentro di me, che si è nati per questo e per nient'altro... Lo sento come sento il calore della tua mano sul mio viso...
Lo guardò negli occhi, e per un po' lui non disse nulla.
Sei un po' meno stanco, ora? gli chiese dopo qualche tempo.
Le sorrise. Sì, grazie a te. Toccarti è come percepire ancora quella speranza di libertà che sentivo una volta e che ora non sento più. Facevo spesso questo sogno. Poi mi sono stancato di sognare e basta, volevo che diventasse reale. E non lo diventò. E non lo diventerà. Ecco perché i miei passi erano pesanti e affaticati. Sono gravato dal pensiero che non sarò mai come sono in questo momento, e che una volta morto non avrò più la possibilità di essere. Credo che alcune delle persone più sensibili lo capiscano e non ce la facciano a sopportare l'idea.
Le prese una mano e la se la portò dolcemente al cuore. Le disse: crediamo che tutto risieda qui. I sentimenti, le emozioni. Non so se sia effettivamente così, ma è l'unica cosa che si senta battere da dentro di noi. È così potente, se ci pensi. È un'emozione talmente grande, sentire il cuore di un'altra persona che batte forte, soprattutto se batte più veloce perché è con noi.
Il tuo batte velocissimo, disse lei.
E il ragazzo rispose: grazie a te.
Lei lo abbracciò e rimaserò così, stretti l'uno all'altra, senza conoscersi, senza sapere niente della persona che tenevano tra le braccia. E intanto il mondo svaniva intorno a loro perdendo di concretezza, lasciandoli con il bisogno insoddisfatto di una libertà umana e universale.


di Marco Tamborrino


giovedì 27 dicembre 2012

Prato e Cielo

Questa immagine mi comunica una gran pace. Vorrei vivere lì. Anche lavorare nei campi. Ma vorrei tanto.
Sogno un mondo diverso ma il problema è che tutti lo sognano e non so quanto quel diverso possa essere migliore del diverso degli altri e quindi mi ritrovo a pensare e pensare e pensare a come costruire questo mondo e so benissimo che non sarà mai reale. Vorrei un pianeta nuovo immacolato pulito dove la mano dell'uomo moderno non sia arrivata da nessuna parte e dove si possa correre ovunque senza preoccuparsi di nulla dove non ci sono leggi perché le leggi servono per limitare le azioni di un'umanità violenta ma se ricominciassimo non saremmo violenti e se invece degli adulti potessero ricominciare i ragazzi e i bambini allora non vedo come la nuova società possa fallire. In questo sogno ci sono tanti altri sogni come quello di un bambino che ride e mette dei fiori tra i capelli di una bambina e ride anch'ella perché sono in un prato verde e sopra il cielo e azzurro e questi colori semplificano il tutto e i milioni di sfumature del verde e dell'azzurro ma loro li chiamerebbero così verde e azzurro e basta no? e allora prego un cielo azzurro e un'aria pulita e prego che dove c'è ancora la natura nel nostro mondo essa rimanga e l'uomo non la uccida.

sabato 22 ottobre 2011

Trilogia della Frontiera - Cormac McCarthy



So già in partenza che questo articolo sarà troppo di parte. Amare o non amare un libro è un fattore soggettivo, ma succede anche di non amare libri che reputiamo comunque opere di grande valore. Bene, direi che si può anche cominciare. Mettetevi comodi, magari con una cioccolata calda e fumante davanti a voi, perché sarà un viaggio piuttosto lungo. Spero di introdurvi delicatamente. Spero che di raccontarvelo come è giusto che vada raccontato.

Dubito possa servire a qualcosa premettere che McCarthy è considerato da gran parte della critica il più grande scrittore americano vivente. Sopra a Roth, De Lillo e Thomas Pynchon. Non avendo io letto gli altri tre, non posso fare un paragone. Passiamo quindi ai fatti. McCarthy è nato nel ’33, vive isolato a El Paso (un po’ alla Salinger, ma anche il collega Pynchon non scherza con la privacy) e ha una moglie e un figlio di pochi anni, John. I giornalisti vengono invitati a giocare a biliardo, ma nessuna intervista viene mai concessa. È uno scrittore d’altri tempi, il nostro Cormac. Scrive con un inglese del ‘600, prosa densa e lapidaria e uso sconcertante delle metafore. Se si pensa che un anno l’Accademia Svedese ha dato il Nobel a Dario Fo, allora c’è da sghignazzare. Niente contro Fo, solo che il Nobel per la letteratura dev’essere un Nobel per la letteratura. Non per qualcos’altro. E McCarthy è uno scrittore che, ancora in vita, viene già annoverato fra i classici.

La Trilogia della Frontiera è la sua opera di cui intendo parlare. Composta da Cavalli selvaggi, Oltre il confine e Città della pianura, è sicuramente uno di quei tentativi tipici dell’uomo nella sua arroganza di rendersi immortale con le parole. L’unica differenza è che McCarthy non aveva affatto quest’intenzione. Lui s’è messo lì e ha pensato la sua storia e poi l’ha scritta. E ringraziamolo all’infinito per averlo fatto.

Cavalli selvaggi è il libro più giovane. Non solo in senso cronologico, ma in senso letterale. Non è un libro immaturo, ma non c’è la consapevolezza degli ultimi due. È un libro selvaggio, anche se il titolo originale è All the pretty horses. È un romanzo dove la natura esplode ad ogni riga, dove i personaggi sono costretti a combattere con la natura e al tempo stesso farsela amica. È il romanzo dell’amore, dell’ingiustizia e dell’incomprensione del Messico come paese a sé stante, diverso da tutto il mondo. Ma anche romanzo della crescita, della maturazione, dei sensi di colpa. Ed è importante per capire fino a che punto il protagonista, John Grady Cole, potrà spingersi. Perché noi lo ritroveremo nell’ultimo romanzo e non sapremo quale sarà il punto di non ritorno, consci però che dovrà esserci per forza. A un certo punto del libro, un personaggio dice che il Messico è diverso. Che il Messico non è come l’America. È un tema molto ricorrente nei tre libri. Il Messico è un mondo a parte, affascinante e pericoloso, un mondo pulsante e vivo che attira coloro che vogliono ripartire da zero. Fare tabula rasa. Tracciare una riga nel passato. Ma John Grady la riga non l’ha tracciata abbastanza spessa. Il bello di McCarthy è che lui non ci dice mai i pensieri dei personaggi. È una cosa io per esempio non riesco a evitare quando scrivo. Lui invece lo fa tranquillamente. Traspare tutto dai dialoghi e dai gesti, anche da un “sì” o un “no” e il più piccolo movimento. Questo significa saper usare le parole. Ogni pagina sembra una pennellata che colora la storia di un fascino indiscutibile, oscuro, misterioso. Le pagine sulle cavalcate notturne di John e Alejandra sono pura poesia, altissima letteratura, e c’è poco altro da dire. Così come il tragico destino di Blevins, si potrà capire il valore dell’adolescenza negli aspetti più drammatici.

Oltre il confine è il mio preferito. Parlarne non è facile. È immenso, e si potrebbe finire qui. La prima parte racconta di un gioco di sguardi tra un ragazzo e una lupa, un gioco di sguardi che dura decine di pagine e lascia senza fiato. Forse le più belle pagine mai scritte sul rapporto uomo-natura. E anche le più tristi. Il fatto è che McCarthy proprio non fa sconti. Non ti viene mai da pensare: ora al protagonista andrà bene, ora sarà felice perché se lo merita. La vita non è così. E questi libri sono la vita e la storia di tutti noi, come fossimo un unico organismo. Oltre il confine ha il potere di farti sentire affine a tutta l’umanità. Affine al tuo nemico, affine a chi abita dall’altra parte del globo. Nella seconda, nella terza e nella quarta parte del romanzo, Billy Parham intraprende un viaggio che lo porterà ad attraversare il confine tra America e Messico ben tre volte, per tre ragioni diverse. E come dirà nell’ultimo libro della trilogia, nessuna delle tre volte è tornato con quello che cercava quando è partito. Perché il Messico è diverso. Tragico e senza speranza, ricco di racconti nel racconto e di testimonianze di vita da parte di gente vecchia, stanca, ma pur sempre disponibile ad accogliere qualcuno in casa e dargli da mangiare nonostante si viva di stenti. Perché, ci tocca dirlo ancora una volta, il Messico è diverso. In Oltre il confine la natura è ancora più viva, più presente, ma non per questo meno spietata; anzi, probabilmente lo è ancora di più. E la drammaticità delle scelte dei personaggi si riversa completamente sulle loro sorti. Un libro dove la luce non c’è, dove non c’è mai stata. Perché basta un attimo per cambiare la vita di Billy quando il ragazzo realizza di aver catturato una lupa. Dovrebbe spararle o andare ad avvisa il padre. E invece la libera e decide di riportarla al suo paese d’origine. Una scelta definitiva. E McCarthy ci dice, più o meno a pagina trenta: “non avrebbe più rivisto i suoi genitori”. Ci fa chiedere se noi abbiamo mai provato a cambiare la nostra vita.

Città della pianura ha una struttura diversa, ma era lo scopo di McCarthy scriverlo come l’ha scritto. Molto dialogato, molto statico per buona parte della narrazione. John Grady Cole e Billy Parham lavorano nello stesso ranch e ascoltano sotto le stelle i racconti dei vecchi tempi. In questi racconti la ricorrenza è che in Messico nessuno aveva niente, nessuno aveva mai avuto niente e mai avrebbe avuto qualcosa, ma, anche così, la sola possibilità che ti chiudessero la porta in faccia era impensabile. Ed è in Messico, che John Grady s’innamora per la seconda volta. L’amore lo porterà al limite, fino a scontrarsi col protettore di lei, Eduardo, in un duello epico ed emblematico, manifesto di un paese che se non ci sei nato, non lo puoi capire. Perché quando senti per la prima volta una canzone messicana pensi di aver capito tutto, quando ne hai sentite più di cento ti rendi conto di non aver capito niente, fosse anche la stessa canzone ripetuta per cento volte. Ho ritrovato Billy, ho ritrovato il suo carattere protettivo, sincero, affettuoso. E il finale mi ha devastato proprio per questo. McCarthy se ne frega dell'opinione di coloro che leggeranno ciò che scrive. E ciò che scrive è verità pura e semplice. Non c'è altro. Tu vieni messo di fronte a parole che non sono parole ma pugni nello stomaco. Vieni messo di fronte a tragedie umane di portata inarrivabile. Per questo mi sono ritrovato a piangere in classe, alla fine. Perché non ce la facevo. Non ce la facevo a sopportare tutto quel dolore, tutta quella tristezza. È deprimente. Ma è anche bellissima.

La Trilogia presa nel suo insieme è maestosa, imponente. È capace di farti credere che nient’altro possa superarla in grandezza. Io sono sempre pronto a essere smentito, ma qualcosa mi dice che non sarà così. McCarthy ha fatto centro. Ha raccontato la vita dell’uomo e l'ha racchiusa in tante storie che alla fine sono un’unica storia. La stessa, identica storia per tutti noi. È come se avesse detto «Io ho scritto questa cosa e ve l’ho fatta leggere, ma state attenti che sto parlando non solo del Messico e dell’America degli anni ’40 e ’50. Sto parlando anche di voi. Soprattutto di voi».

─ Marco Tamborrino
22 ottobre 2011

domenica 9 ottobre 2011

Ogni cosa è illuminata


(Ricordi cosa ha fatto dopo, Jonathan? Ha adocchiato ancora la foto e
poi l'ha rimessa sul tavolo e poi ha detto: Herschel era una persona
buona, e anch'io, e per questo non è giusto quello che è successo,
niente di questo è giusto. E poi gli ho chiesto: Cosa, cosa è successo?
Lui ha rimesso la foto nella scatola, ti ricorderai, e ci ha detto la
storia. Esattamente così. Ha messo la foto nella scatola e ce l'ha
raccontata. Lui non ha mai schivato i nostri occhi nemmeno una volta, e
nemmeno una volta ha messo le mani sotto il tavolo. Ha detto, ho ucciso
Herschel. Oppure quello che ho fatto è stato come ucciderlo. Cosa vuoi
dire? ho chiesto perché quello che lui ha detto era una cosa così forte
da dire. No,
questo non è vero. Herschel moriva con me o senza di me ma è come se
l'avessi ucciso. Cos'è successo? ho chiesto io. Sono arrivati all'ora
più buia della notte. Venivano semplicemente da un'altra città e dopo
sarebbero andati in un'altra. Sapevano cosa stavano facendo, erano molto
organizzati. Mi ricordo benissimo la sensazione del letto che tremava
quando sono arrivati i carrarmati. Che cosa? Cosa c'è? ha detto la
Nonna. Io mi sono alzato dal letto e ho osservato fuori dalla finestra.
Che cosa hai visto? Ho visto quattro carrarmati e me li ricordo ognuno
in particolare. C'erano quattro carrarmati verdi e gli uomini che
camminavano di fianco. Questi uomini avevano i fucili, ascolta, e li
puntavano contro le nostre porte e le finestre in caso che qualcuno
tentasse di scappare. Era buio, ma questo potevo vedere. E avevi paura?
Sì, avevo paura, anche se sapevo che non ero io quello che volevano. E
come sapevi? Sapevamo di loro. Tutti sapevano. Anche Herschel sapeva.
Non pensavamo che succedesse a noi. Io ti ho detto che credevamo nelle
cose, eravamo così stupidi. E dopo? E dopo ho detto alla Nonna di
prendere il bambino, tuo padre, e andare giù in cantina e non fabbricare
rumore ma anche di non spaventarsi eccezionalmente perché non eravamo
noi che volevano. E dopo? E dopo hanno fermato tutti i carrarmati e per
un momento sono stato così stupido da pensare che era finita, avevano
deciso di tornare in Germania finire la Guerra perché non piace a
nessuno la guerra nemmeno a quelli che sopravvivono, nemmeno ai
vincitori. Ma? Ma naturale che non sono andati via, hanno solo fermato i
carrarmati davanti alla sinagoga e sono usciti fuori dei loro carrarmati
e si sono schierati in righe molto logiche. Il Generale che aveva i
capelli biondi si è messo in faccia un microfono e ha parlato in ucraino
ha detto che tutti dovevano venire alla sinagoga, tutti senza omissioni.
I soldati davano dei pugni a tutte le porte con i fucili e investigavano
le case per essere sicuri che tutti andavano davanti alla sinagoga ho
detto alla Nonna di tornare su con il bambino perché avevo paura che li
scoprissero dentro in cantina e gli sparassero per via del nascondiglio.
Herschel pensavo Herschel deve scappare adesso e come può scappare
deve
correre adesso correre al buio forse è già scappato forse ha sentito i
carrarmati ed è scappato via ma quando siamo arrivati della sinagoga ho
visto Herschel e lui mi ha visto e ci siamo messi vicino perché è questo
che fanno gli amici a cospetto del male o dell'amore. Cosa succederà mi
ha chiesto lui e io ho detto non so cosa succederà e il vero è che
nessuno di noi sapeva cosa sarebbe successo anche se tutti quanti
sapevano che sarebbe stato cattivo. I soldati hanno preso tanto tempo a
finire la loro investigazione delle case era molto importante per loro
star sicuri che tutti erano davanti alla sinagoga. Ho paura ha detto
Herschel penso che piangerò. E perché ho detto io non c'è niente da
piangere non c'è proposito di piangere ma ti dico che anch'io avevo
voglia di piangere e avevo tanta paura ma non per me stesso per la Nonna
e il bambino. Cosa hanno fatto? Cosa è successo dopo? Ci hanno messo in
fila e io ero vicino a Anna da una parte e Herschel dall'altra e delle
donne stavano piangendo perché avevano tanta paura dei fucili che
avevano i soldati e pensavano che tutti noi saremmo morti. Il Generale
con gli occhi azzurri ha portato il microfono sulla faccia. Voi dovete
ascoltare bene ha detto e fare tutto quello che vi è ordinato altrimenti
verrete fucilati. Herschel mi ha detto piano ho tanta paura e io volevo
dirgli scappa hai più speranza se scappi è buio scappa corri altrimenti
non hai speranza ma non potevo dirgli questo perché avevo paura che mi
sparavano perché parlavo e avevo anche paura di rassegnarmi alla morte
di Herschel ammettendola fatti coraggio ho detto con voce più bassa che
potevo devi essere coraggioso anche se lo sapevo che era una cosa così
stupida da dire la cosa più stupida che mai ho detto coraggioso perché?
Chi è il rabbino ha chiesto il Generale e il rabbino ha elevato la mano.
Due delle guardie hanno preso il rabbino e lo hanno spinto nella
sinagoga. Chi è il cantore ha chiesto il Generale e il cantore ha
elevato la mano, ma non era così sereno nella morte come il rabbino lui
piangeva e diceva No a sua moglie No No No No No e lei ha elevato la
mano verso di lui e due guardie l'hanno presa e hanno messo anche lei
nella sinagoga. Chi sono gli ebrei ha chiesto il Generale nel microfono
tutti gli ebrei facciano un passo avanti ma non uno ha fatto il passo
avanti. Tutti gli ebrei devono venire avanti ha detto ancora e questa
volta lui gridava ma non uno ancora ha fatto il passo avanti e ti dico
che se ero ebreo anch'io non facevo il passo e il Generale è venuto
vicino alla prima fila e ha detto nel microfono voi indicate un ebreo o
sarete considerati ebrei e la prima persona da cui è andato era un ebreo
che si chiamava Abraham. Chi è ebreo ha chiesto il Generale e Abraham
tremava. Chi è ebreo ha chiesto ancora il Generale e ha appoggiato la
pistola alla testa di Abraham. Aaron è ebreo, Aaron e lui ha indicato
con il dito Aaron che era nella seconda fila dove eravamo anche noi. Due
guardie hanno acchiappato Aaron e lui faceva foltissima resistenza così
gli hanno sparato nella testa e questo è quando ho sentito la mano di
Herschel che toccava la mia. Fate come vi è ordinato ha gridato al
microfono il Generale con una cicatrice sulla faccia, altrimenti. E'
andato alla seconda persona della fila che era un mio amico Leo e ha
detto chi è ebreo e Leo ha indicato Abraham e ha detto quell'uomo è
ebreo perdonami Abraham due guardie hanno accompagnato Abraham in
sinagoga e una donna nella quarta fila ha cercato di scappare via con il
suo bambino nelle braccia ma il Generale ha gridato in tedesco quella
lingua terribile la lingua più paurosa disgustosa e mostruosa e una
delle guardie ha sparato a lei dietro la testa e dopo hanno portato lei
e anche il suo bambino che era ancora vivo nella sinagoga. Il Generale è
andato dal secondo uomo della fila e da quello dopo e tutti facevano
segno è un ebreo perché nessuno voleva essere ucciso un ebreo faceva
segno a suo cugino e uno faceva segno a se stesso perché non voleva fare
segno a un altro. Hanno portato Daniel nella sinagoga e anche Talia e
Louis e tutti gli ebrei che c'erano ma per qualche proposito che io non
saprò mai nessuno ha mai indicato Herschel forse perché io ero l'unico
amico suo e lui non era tanto socievole e tanta gente non sapeva nemmeno
che esistesse ero l'unico che poteva indicare lui o forse era perché era
così buio che non lo vedevano più. Non è passato troppo tempo che lui è
rimasto l'unico ebreo fuori dalla sinagoga. Adesso il Generale era nella
seconda fila e ha detto a un uomo, lui chiedeva soltanto agli uomini io
non so perché, chi è ebreo e l'uomo ha detto sono tutti dentro la
sinagoga perché lui non conosceva Herschel o non conosceva che Herschel
era ebreo. il Generale gli ha sparato in testa e io ho sentito la mano
di Herschel che toccava la mia molto piano e sono stato attento a non
guardarlo il Generale è andato da quello dopo ha chiesto chi è ebreo e
questo ha detto sono tutti dentro alla sinagoga mi deve credere non sto
dicendo falso perché dovrei dire falso potete ucciderli tutti per quello
che m'importa ma per favore mi risparmi per favore non mi uccida e il
Generale glihasparatointesta e ha detto ora mi sto spazientando ed è
passato all'uomo che c'era dopo in fila ed ero io chi è ebreo ha chiesto
e io ancora ho sentito la mano di Herschel e lo so che la sua mano stava
dicendo pregoprego Eli ti prego non voglio morire prego non indicarmi
sai cosa succederà se indichi me non indicarmi ho paura di morire ho
tanta paura di morire ho tantapauradimorire hotantapauradimorire chi è
ebreo mi ha chiesto ancora il Generale e io sull'altra mano ho sentito
la mano della Nonna e sapevo che lei teneva tuo padre che stava tenendo
te e tu tenevi i tuoi figli e ho tanta paura di morire ho
tantapauradimorire hotantapauradimorire hotantapauradimorire e io ho
detto lui è ebreo chi è ebreo ha chiesto il Generale e Herschel ha
afferrato la mia mano con tanta forza e lui era il mio amico era il
migliore amico lo avrei lasciato anche baciare Anna e l'avrei anche
lasciato fare l'amore con lei ma io sono io e mia moglie è mia moglie e
mio figlio è mio figlio tu capisci che cosa sto dicendo ho indicato
Herschel e ho detto lui è ebreo quest'uomo è un ebreo prego Herschel mi
ha detto e stava piangendo digli che nonèvero prego Eli ti prego due
guardie lo hanno preso e lui non resisteva ma piangeva ancora e più
forte e ha gridato di' a loro che non ci sono più ebrei
noncisonopiùebrei che hai detto che io sono ebreo soltanto per non
morire ti prego Eli seilmioamico non farmi morire io ho tanta paura di
morire hotantapaura vedrai tutto andrà bene gli ho detto non fare questo
ha detto fai qualcosa fai qualcosa faiqualcosa faiqualcosa andrà tutto
bene andrà tuttobene a chi lo dicevo io questo fai qualcosa Eli
faiqualcosa io hotantapauradimorire ho tantapaura lo sai cosa faranno
seilmioamico gli ho detto io anche se non so perché l'ho detto in quel
momento e le guardie lo hanno messo nella sinagoga assieme ad altri
ebrei e tutti noialtri siamo rimasti fuori a sentire piangere il
piantodeibambini e il piantodegliadulti e a vedere la scintilla nera
quando il primo fiammifero è stato acceso da un ragazzo che non poteva
essere più vecchio di me o Herschel o di te adesso ha illuminato quelli
che non erano dentro la sinagoga quelli che non dovevano morire e lui lo
ha buttato sui rami che erano appoggiati alla sinagoga e quello che poi
era così orrendo è che è stato tantolento e il fuoco
sispegnevatantevolte e bisognava rifarlo e io ho guardato la Nonna e
leimihabaciatosullafronte e io l'hobaciatasullabocca e le nostre
lacrimesisonmischiatesullelabbra e dopo io hobaciatotuopadre tante volte
l'ho preso dalle braccia della Nonna e l'hostrettotantoforte talmente
tanto che si è messo di piangere e io dicevo ti voglio bene ti voglio
bene ti voglio bene ti voglio bene tivogliobene tivogliobene
tivogliobene tivogliobene tivogliobene tivogliobene tivogliobene
tivogliobene tivogliobene tivogliobenetivogliobenetivogliobene e sapevo
che bisognava cambiare tutto lasciare tutto dietro alle spalle e sapevo
che non dovevo permettere mai che lui sapesse chieroio o cosavevofatto
perché era per lui che avevofattoquelcheavevofatto era per lui che avevo
indicato Herschel che Herschel era stato assassinato che io avevo
assassinato Herschel ed è per questo che lui è quello che è lui è quello
che è perché un padre ha sempre responsabilità di suo figlio e io sono
io e iosonoresponsabile non di Herschel ma di mio figlio perché l'ho
tenuto con tantaforzachepiangeva perché gli volevo bene così tanto che
ho resolamoreimpossibile e mi spiace per te e mi spiace per Iggy e siete
voi che dovete perdonarmi lui ci ha detto queste cose e Jonathan dove
andiamo adesso cosa faremo con quello che sappiamo il Nonno ha detto
che
io sono io ma potrebbe non essere vero il vero è che anch'io
hoindicatoHerschel e anch'io ho detto luièebreo e ti dico che anche tu
haiindicatoHerschel e anche tu hai detto luièebreo e non solo ma il
Nonno ha anche indicato-me e ha detto luièebreo e anche tu hai
indicatolui e hai detto luièebreo e tua nonna e il Piccolo Igor e tutti
noi ci siamo indicatilunlaltro e così insomma cosa avrebbe dovuto fare
sarebbestatopazzoafareunaltracosa ma è perdonabile quello che ha fatto
puòessereperdonato per il suo dito indice per quelcheilsuoditohafatto
per quellocheindicò enonindicò per quellochetoccònellasuavita e
quellochenontoccò è ancoraluicolpevole e io lo sono lo sono losono io
losono?)
Poi ha detto: «Adesso dobbiamo dormire».

─ Jonathan Safran Foer
Ogni cosa è illuminata

domenica 25 settembre 2011

Recensione libro: "Sulla strada" di Jack Kerouac


E non smisi nemmeno per un attimo di pensare a Dean e a come fosse salito sul treno e si fosse fatto più di cinquemila chilometri sopra quell'orrida terra senza nemmeno sapere il perché, se non per vedere me.

"Sulla strada" è un romanzo che andrebbe letto tutto d'un fiato, tutto in una volta. È un romanzo che non lascia il tempo di respirare, il tempo di fermarsi e mettersi a pensare che razza di vista si sta facendo. Anche i momenti di apparente calma sono falsi, illusioni. Sembra che si sia trovato il proprio posto nel mondo e invece niente, era solo una sensazione passeggera. Perché dare un nome a questa generazione, perché chiamara "Beat Generation"? Quelli che l'hanno vissuta non potevano stare fermi, muoversi era più forte di loro, la strada stessa diventa un personaggio del libro, mentre per loro è un amico cui ritornare dopo pochi giorni di relativa quiete. La strada li porta dalla costa orientale a quella occidentale degli Stati Uniti e viceversa, e ogni volta sembra essere una novità, anche se poi, quando si fa ritorno, ci si sente solo tristi.

Potremmo inquadrare il romanzo di Kerouac come un racconto sul fantastico personaggio di Dean Moriarty (Neal Cassady), colui sul quale puntano i riflettori dello scrittore per tutte le quasi quattrocento pagine. C'è un punto in cui Dean viene abbandonato da tutti. Nessuno più sopporta quel suo fare approfittatore, quel suo sfruttare un amico e poi piantarlo in asso quando gli fa più comodo e ha finito di sfruttarlo. A quel punto Sal Paradise (Jack Kerouac) gli si fa ancora più vicino, e qui rimando al titolo della recensione. La fine del romanzo mi ha lasciato un certo disagio, una certa malinconia, come se Dean si fosse alla fine reso conto di quanto vuota fosse la sua vita, di quanto provasse a riempirla viaggiango e viaggiando, beandosi del mondo e godendoselo fino in fondo. Aveva forse capito che quel suo amico l'aveva salvato, gli aveva mostrato come ci si doveva accontentare di una famiglia dopo infiniti viaggi in giro per l'America e il Messico.

Francamente non riesco a comprendere i tanti commenti negativi che ho letto un po' dappertutto. È il semplice manifesto di un'America che sta cambiando. Che dalla depressione degli anni '30 e dalla Seconda Guerra Mondiale attraversa un breve periodo prima di diventare l'America che è oggi. E in questo cambiamento abbiamo avuto la Beat Generation. Abbiamo avuto questi giovani che non sapevano se il mondo era un luogo che ogni tanto stesse fermo, oltre a muoversi. E per non venir sorpassati, si muovevano anche loro.

E così in America quando il sole tramonta e me ne sto seduto sul vecchio molo diroccato del fiume a guardare i lunghi cieli lungo il New Jersey e sento tutta quella terra nuda che si srotola in un'unica incredibile enorme massa fino alla costa occidentale, e a tutta quella strada che corre, e a tutta quella gente che sogna nella sua immensità e so che a quell'ora nello Iowa i bambini stanno piangendo nella terra in cui si lasciano piangere i bambini, e che stanotte spunteranno le stelle, e non sapete che Dio è Winnie Pooh?, e che la stella della sera sta tramontando e spargendo le sue fioche scintille sulla prateria proprio prima dell'arrivo della notte fonda che benedisce la terra, oscura tutti i fiumi, avvolge le vette e abbraccia le ultime spiagge, e che nessuno, nessuno sa cosa toccherà a nessun altro, allora penso a Dean Moriarty, persino al vecchio Dean Moriarty padre che non abbiamo mai trovato, penso a Dean Moriarty.

giovedì 22 settembre 2011

Recensione libro: "Oltre il confine" di Cormac McCarthy


È il dolore ad addolcire ogni dono.

Grazie, Cormac McCarthy. Grazie all'infinito. Hai scritto il libro della mia vita. E ti chiedo scusa se lo chiamo libro. Ti chiedo scusa per quelli che lo hanno disprezzato e lo disprezzeranno. Perdonali, perché non sanno quello che fanno. Io non posso fare altro che inchinarmi davanti a tanta capacità letteraria. Non posso far altro che piangere sapendo che un autore ancora vivente ha prodotto questo libro. Sapendo che ha scritto queste pagine, che non è stato un dio a farlo.

Scusatemi, sto cercando di razionalizzare un po'. Sono sconvolto, davvero sconvolto. Sono arrivato all'ultima riga con gli occhi pieni di lacrime senza sapere neanche bene il perché. So solo che dentro ero completamente scosso. Ancora adesso faccio una fatica immensa a ragionare, a restare lucido. Le parole, di fronte a certe pagine, vengono meno.

Ci troviamo di fronte a un libro di livello superiore. Non so cos'altro leggerò, nei prossimi anni, ma qui la letteratura - e parlo della letteratura di tutti i tempi - tocca vette altissime. La maggior parte degli scrittori, io per primo, possono solo trascorrere la vita sognando di avere anche solo la metà della bravura di McCarthy, ma la verità è che non l'avranno mai. La verità è che Cormac McCarthy è il miglior scrittore che io abbia mai letto. La verità è che "The Crossing" (Oltre il confine) è talmente immenso che necessita sicuramente decine di riletture prima di poterlo comprendere a pieno. Prima di comprendere ogni riga, ogni parola. Prima di rendersi conto di star leggendo un "miracolo in prosa", come dice il retrocopertina. Prima di accorgersi che sono 370 pagine di poesia, non una di meno.

Le quattro parti in cui è suddiviso il libro sono una più bella dell'altra. La prima, quella che descrive il rapporto tra il protagonista e la lupa, credo comprenda le pagine più belle mai scritte sulla relazione che si può instaurare tra un essere umano e la natura. Le altre tre parti parlano d'altro, e non ho intenzione di accennarvi nemmeno una parola a riguardo.

McCarthy, quando scrive, lo fa scrivendo del lato umano più triste, più cupo, più nero. Lo fa di proposito, perché alla fine la vita è questo. Leggere questo libro è stato come guardare dentro un abisso e rimanere a fissarlo per tutta la durata della lettura. Un abisso che affonda le sue radici in te, come i tuoi occhi affondano le loro in lui. E da quell'abisso è impossibile uscirne. O forse ne esci, ma ne esci con una consapevolezza del mondo da togliere il fiato. Non guarderai più nemmeno un sasso allo stesso modo con cui lo guardavi pieno. McCarthy ha questo potere. Il potere di illuminare di una luce triste tutta la realtà. E poi non c'è nient'altro da fare se non piangere. E piangi per sfinimento, non perché il libro vuole commuovere. Non è quello il suo intento. A dire il vero il libro è così crudo e reale che commuovere è l'ultima delle sue intenzioni. Ma tu piangi perché alla fine non ce la fai più. Piangi perché i personaggi non ti dicono i loro pensieri. Tranne che nei dialoghi, McCarthy non te li dice. Tu lo capisci dai gesti cosa pensano. Tu lo capisci da come vedono il mondo. E il mondo che vedono è un mondo triste, triste, triste.

Ho sottolineato quasi tutto il libro. Ci sono intere pagine sottolineate di seguito. Molti passi li ho già trascritti, ma non li ripoterò nella recensione. Non ha senso, sono talmente belli che stonano con le mie parole.

Ho ancora qualcosa da dire. Vorrei dirvi leggetelo, ma sarebbe banale. Non ha senso leggerlo. Vi renderà solo persone più tristi. Vi renderà ancora più estranei a questo mondo che viviamo tutti i giorni. Vi farà credere che niente ha senso, che tutto quello che facciamo è inutile. Ed è terribile. Io credo che amare un libro così sia semplice. È facile che piaccia. Sia perché è scritto in modo sublime, sia perché McCarthy ha la miglior prosa che io abbia mai conosciuto, sia perché è poesia pura. Ma che lo capiate, che capiate quello che McCarthy vuole dire, be', quella è un'altra storia. Il fatto è che un libro di tale portata letteraria è presente nella maggior parte delle librerie italiane eppure nessuno che conosco l'aveva mai letto o sentito nominare. Toglietevi dalla testa "La strada", l'ultimo lavoro del Maestro. È un bel libro, è bello anche il film, ma qui siamo a livelli inconcepibili per noi comuni mortali. Qui tocchiamto l'apice dell'abilità letteraria che un uomo può raggiungere.

Quando ho detto che avevo ancora qualcosa da dire, intendevo qualcosa di lungo. Se siete stanchi, fermatevi qui. Seguiranno solo inutili soliloqui sulla bellezza di questo libro. Sto già pensando a come costruire l'altare a McCarthy in casa mia.

Billy è un ragazzo incredibile. Incredibile nella sua realtà di uomo, di essere umano. Incredibile nelle sue domande, nei racconti che ascolta durante il suo vagabondare. Ed è reso incredibile soprattutto dalle parole degli altri, da chi parla a lui di cose sconosciute, di ragionamenti sul mondo e sulla vita. Le storie che apprende nel suo viaggio sono molteplici. Le più importanti sono quelle del confronto tra il vecchio e il prete e quella del cieco. Quest'ultima è di una bellezza sconvolgente. Toccante a tal punto che non mi ritenevo degno di leggere. A tal punto da smettere e dirmi: tu non meriti di leggere parole così belle. Tu non meriti di leggere questo libro. Perché io sono nato e ho vissuto diciassette anni della mia vita aspettando di leggere il libro pubblicato l'anno della mia nascita. Ormai lo credo per certo. Ancora grazie, Cormac McCarthy. Mi sembra di deturpare il tuo genio solo parlandone. Anche io non so quello che faccio, perdonami, e io ti perdonerò di avere 78 anni e ti perdonerò il fatto che non saranno molti i libri che ti restano da pubblicare. Ma io mi accontento lo stesso. Io mi accontento del fatto che tu abbia donato al mondo "The Crossing". Tutti dovremmo accontentarcene. Cosa si può chiedere di più dalla vita se non la lettura di un romanzo di questa portata? Davvero, cosa si può chiedere dui più? La felicità, forse? La felicità non è niente.

Un'altra cosa che ho capito, e spero di averla capita nel modo giusto, è che il mondo è una storia. Che tutte le storie fanno parte di un'unica storia, e quella storia è il mondo. E che noi stiamo vivendo una storia, né più né meno. Piango di fronte a questa consapevolezza. Piango di fronte all'illusione del mondo, alla sua inconsistenza, alla sua leggerezza. Come dice Mccarthy, non si può tenerlo in una mano, perché è inconsistente. È una storia. È un'illusione.

Alla fine ho deciso che qualche cosa dovevo pur riportarla. È lunga, ma non può essere altrimenti:

Sono venuto come un eretico che fugge da una vita precedente. Stavo fuggendo.
È venuto a nascondersi?
Sono venuto per via del disastro.
Scusi?
Il disastro. Il terremoto.
Il terremoto, certo.
Stavo cercando prove dell'intervento di Dio nel mondo. Ero arrivato a credere che quell'intervento fosse dettato dall'ira e credevo che gli uomini non si fossero mai interrogati a sufficienza sui miracoli della distruzione. Sui disastri di una certa grandezza. Credevo vi fossero prove del fatto che tutto ciò era stato tenuto in scarsa considerazione. Pensavo che Lui non si sarebbe dato premura di cancellare tutti i segni del proprio intervento. Avevo molta voglia di sapere. Pensavo che magari Lui si divertisse addirittura a lasciare degli indizi.
Che genere di indizi?
Non so. Qualcosa. Qualcosa di imprevisto. Qualcosa fuori posto. Qualcosa non vero o improbabile. Una traccia nella polvere. Un gingillo caduto a terra. Non una causa. No di certo. Non una causa. Le cause non fanno altro che moltiplicarsi e conducono al caos. Volevo sapere cos'aveva in mente. Non potevo credere che distruggesse la propria chiesa senza alcuna ragione.
Crede forse che la gente di qui avesse fatto qualcosa di simile?
L'uomo fumò pensieroso. Sì, credevo che fosse possibile. Possibile. Come nelle città in pianura. Pensavo ci fossero prove di qualcosa di indicibile che l'avesse sollecitato a intervenire. Qualcosa tra le macerie. Tra la polvere. Sotto le vigas. Qualcosa di oscuro. Chi potrebbe dirlo?
Che cosa ha trovato?
Nulla. Una bambola. Un piatto. Un osso.
Si chinò e spense la sigaretta in una coppa di terracotta sul tavolo.
Sono qui a causa di una certa persona. Sono venuto a ricostruirne i passi. Forse a vedere se per caso vi fosse un percorso alternativo. Ma qui non si trova niente. Le cose separate dalle loro storie non hanno senso. Sono semplici forme. Di una certa dimensione e di un certo colore. Di un certo peso. Quando ne abbiamo perso il significato, non hanno più neppure un nome. La storia, d'altro canto, non può mai venir separata dal luogo al quale appartiene, perché essa è quel luogo. Ecco che cosa si poteva trovare qui. Il corrido. La storia. E come tutti i corridos, in fin dei conti raccontava soltanto una storia, perché ce n'è solo una da raccontare.
I gatti si muovevano, il fuoco scoppiettava nella stufa. Fuori, nel villaggio abbandonato, il silenzio più profondo.
Che storia è? domandò il ragazzo.
Nella città di Caborca, sul fiume Altar, visse un uomo, un vecchio. A Caborca era nato e a Caborca morì. Però visse per un certo periodo in questa città, a Huisiachepic.
Che cosa sa Caborca di Huisiachepic e che cosa sa Huisiachepic di Caborca? Sono mondi diversi, dovrai convenire con me. Eppure anche così c'è solo un mondo e qualsiasi cosa tu possa immaginare è un suo elemento necessario. Perché questo mondo che ci pare una cosa fatta di pietra, vegetazione e sangue non è affatto una cosa ma è semplicemente una storia. E tutto ciò che esso contiene è una storia e ciascuna storia è la somma di tutte le storie minori, eppure queste sono la medesima storia e contengono in esse tutto il resto. Quindi tutto è necessario. Ogni minimo particolare. È questa in fondo la lezione. Non si può fare a meno di nulla. Nulla può venire disprezzato. Perché, vedi, non sappiamo dove stanno i fili. I collegamenti. Il modo in cui è fatto il mondo. Non abbiamo modo di sapere quali sono le cose di cui si può fare a meno. Ciò che può venire omesso. Non abbiamo modo di sapere che cosa può stare in piedi e che cosa può cadere. E quei fili che ci sono ignoti fanno naturalmente parte anch'essi della storia e la storia non ha dimora né luogo d'essere se non nel racconto, è lì che vive e dimora e quindi non possiamo mai aver finito di raccontare. Non c'è mai fine al raccontare. E, ripeto, sia a Caborca che a Huisiachepic che in qualsiasi altro posto con qualsiasi altro nome o senza nome alcuno, tutte le storie sono una cosa sola. Se ascolti come si deve, sono una unica storia.

Voi cosa dite? Voi che parole pronunciate di fronte a un foglio e dell'inchiostro? Che potere avete voi, che potere abbiamo noi, davanti a un libro scritto in questo modo?
Io nessuno. Io sono un poveraccio, una nullità. Sto seriamente pensando di esauire tutti i caratteri a disposizione. Ma poi chi la legge, questa recensione? Ancora due cose, solo due.

Voglio solamente dire a chi è arrivato fino in fondo, che questi libri vi distruggono. Non vi cambiano la vita, non vi salvano. Vi distruggono. La bellezza ha quest'effetto.
L'ultima cosa che vi dico è di regalarlo a tutti coloro che conoscete. Non per distruggerli, ma per farli diventare come voi. Per farli rendere conto della vita e del mondo. Regalatelo e piangete pensando alle persone che amate che piangono leggendolo. Che piangono arrivando all'ultima parola. Arrivando al punto. Ci sono arrivato anch'io. Basta.

domenica 18 settembre 2011

Tutte le storie sono un'unica storia.


Sono venuto come un eretico che fugge da una vita precedente. Stavo fuggendo.
È venuto a nascondersi?
Sono venuto per via del disastro.
Scusi?
Il disastro. Il terremoto.
Il terremoto, certo.
Stavo cercando prove dell'intervento di Dio nel mondo. Ero arrivato a credere che quell'intervento fosse dettato dall'ira e credevo che gli uomini non si fossero mai interrogati a sufficienza sui miracoli della distruzione. Sui disastri di una certa grandezza. Credevo vi fossero prove del fatto che tutto ciò era stato tenuto in scarsa considerazione. Pensavo che Lui non si sarebbe dato premura di cancellare tutti i segni del proprio intervento. Avevo molta voglia di sapere. Pensavo che magari Lui si divertisse addirittura a lasciare degli indizi.
Che genere di indizi?
Non so. Qualcosa. Qualcosa di imprevisto. Qualcosa fuori posto. Qualcosa non vero o improbabile. Una traccia nella polvere. Un gingillo caduto a terra. Non una causa. No di certo. Non una causa. Le cause non fanno altro che moltiplicarsi e conducono al caos. Volevo sapere cos'aveva in mente. Non potevo credere che distruggesse la propria chiesa senza alcuna ragione. Crede forse che la gente di qui avesse fatto qualcosa di simile?
L'uomo fumò pensieroso. Sì, credevo che fosse possibile. Possibile. Come nelle città in pianura. Pensavo ci fossero prove di qualcosa di indicibile che l'avesse sollecitato a intervenire. Qualcosa tra le macerie. Tra la polvere. Sotto le vigas. Qualcosa di oscuro. Chi potrebbe dirlo?
Che cosa ha trovato?
Nulla. Una bambola. Un piatto. Un osso.
Si chinò e spense la sigaretta in una coppa di terracotta sul tavolo.
Sono qui a causa di una certa persona. Sono venuto a ricostruirne i passi. Forse a vedere se per caso vi fosse un percorso alternativo. Ma qui non si trova niente. Le cose separate dalle loro storie non hanno senso. Sono semplici forme. Di una certa dimensione e di un certo colore. Di un certo peso. Quando ne abbiamo perso il significato, non hanno più neppure un nome. La storia, d'altro canto, non può mai venir separata dal luogo al quale appartiene, perché essa è quel luogo. Ecco che cosa si poteva trovare qui. Il corrido. La storia. E come tutti i corridos, in fin dei conti raccontava soltanto una storia, perché ce n'è solo una da raccontare.
I gatti si muovevano, il fuoco scoppiettava nella stufa. Fuori, nel villaggio abbandonato, il silenzio più profondo.
Che storia è? domandò il ragazzo.
Nella città di Caborca, sul fiume Altar, visse un uomo, un vecchio. A Caborca era nato e a Caborca morì. Però visse per un certo periodo in questa città, a Huisiachepic.
Che cosa sa Caborca di Huisiachepic e che cosa sa Huisiachepic di Caborca? Sono mondi diversi, dovrai convenire con me. Eppure anche così c'è solo un mondo e qualsiasi cosa tu possa immaginare è un suo elemento necessario. Perché questo mondo che ci pare una cosa fatta di pietra, vegetazione e sangue non è affatto una cosa ma è semplicemente una storia. E tutto ciò che esso contiene è una storia e ciascuna storia è la somma di tutte le storie minori, eppure queste sono la medesima storia e contengono in esse tutto il resto. Quindi tutto è necessario. Ogni minimo particolare. È questa in fondo la lezione. Non si può fare a meno di nulla. Nulla può venire disprezzato. Perché, vedi, non sappiamo dove stanno i fili. I collegamenti. Il modo in cui è fatto il mondo. Non abbiamo modo di sapere quali sono le cose di cui si può fare a meno. Ciò che può venire omesso. Non abbiamo modo di sapere che cosa può stare in piedi e che cosa può cadere. E quei fili che ci sono ignoti fanno naturalmente parte anch'essi della storia e la storia non ha dimora né luogo d'essere se non nel racconto, è lì che vive e dimora e quindi non possiamo mai aver finito di raccontare. Non c'è mai fine al raccontare. E, ripeto, sia a Caborca che a Huisiachepic che in qualsiasi altro posto con qualsiasi altro nome o senza nome alcuno, tutte le storie sono una cosa sola. Se ascolti come si deve, sono una unica storia.

─ Cormac McCarthy, 'Oltre il confine'