"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

giovedì 28 aprile 2011

Il Fantasy è Letteratura?

Un Fantasy


Questa è una domanda che da sempre ha ghettizzato il 'Fantasy' come genere di serie B, inadatto alla letteratura e alle antologie scolastiche. Ma torniamo un attimo indietro nel tempo, spieghiamo agli pseudo-intellettualoidi che la maggior parte dei classici che difendono a spada tratta (guai a toccare alcuni autori) scrivevano fantasy.


- Dante Alighieri: estrapoliamo un attimo dal contesto storico la 'Divina Commedia'. Cosa ne rimane? Un bellissimo poema che racconta del viaggio di un uomo in tre regni ultraterreni. Questi mondi, come ben sappiamo, hanno la stessa probabilità di esistere che ha 'La terra di mezzo' di Tolkien, perché la loro esistenza non è provata se non dopo la morte, e questo solo secondo la religione cristiana - e scissioni varie. Quindi, quando Dante incontra demoni, alberi che parlano e via dicendo, cosa ci vieta di dire che la 'Divina Commedia' sia fantasy? È una fetta dell'immaginario umano di valore inestimabile, ma non basta etichettarla come 'classico', bisogna studiare il testo! E il testo ci dice che, nonostante il viaggio di Dante sia chiaramente allegorico, la sua avventura è di genere fantastico, perché scaturita dalla sua mente e non reale. Del resto, persino la Bibbia è fantasy, giacché non ho mai veduto né il diluvio universale né qualcuno resuscitare, per dirne due.

- Robert Louis Stevenson: con il suo 'Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr. Hide', ha dato una svolta importante alla narrativa fantastica. Se prima si voleva comunicare un ideale religioso, ora l'obettivo è trasmettere un messaggio (in questo caso quello del 'doppio; buono e cattivo') attraverso elementi di fantasia, come lo sdoppiamento della personalità di un uomo attraverso una 'pozione' ottenuta in seguito a esperimenti scientifici. Qui abbiamo l'anticipazione di quello che è, in poche parole, lo scopo del fantasy odierno, ovvero quello di comunicare un qualche messaggio tramite espedienti immaginari. Il fatto che Stevenson abbia scritto il suo libro duecento anni prima dell'ascesa di Tolkien non significa che quest'ultimo non sia un classico, lo scopo delle opere infatti è uguale!


- Italo Calvino: ne 'Il visconte dimezzato' assistiamo a un parallelismo con Stevenson. Infatti l'intento dei due autori è molto simile, ovvero quello di riflettere sul tema del doppio nella personalità e nell'animo umano. Una persona che viene tagliata a metà e rimane in vita è reale? No. Quindi, negarlo è inutile, anche Calvino si è servito di un espediente fantastico per trasmettere il suo messaggio ai lettori. Il fatto che nei suoi libri non compaiano elfi o nani o mostri vari - classici cliché tolkeniani - non significa che non scriva fantasy. Wikipedia recita: "Fantasy è un termine, mutuato dalla lingua inglese, con il quale si indica un genere letterario, nato nell'ottocento, i cui elementi dominanti sono il mito, la fiaba, il soprannaturale, l'immaginazione, l'allegoria, la metafora e il simbolo."

Pensate che con Beowulf torniamo indietro fino all'ottavo secolo dopo Cristo!


- Omero: l'Odissea è un classico esempio di viaggio fantastico, questa volta con aggiunta di mostri (ciclopi - o arpie, nell'Eneide di Virgilio) e poteri sovrannaturali, come quelli delle divinità greche. Qui il poeta cieco, che sia esistito o meno, ha dato credito a miti antichi con i quali ha raccontato il viaggio di Ulisse, arricchito anche con una visita all'oltretomba. Questo non è fantasy? Perché non dovrebbe esserlo? Cito sempre Wikipedia: "La letteratura fantasy molto spesso parla di magia, coraggiosi cavalieri, creature mitologiche e avventure. Come tale ha una lunga storia e nasce, ovviamente, dal mito: la mitologia classica, greca e romana (famosi esempi sono l'Iliade e l'Odissea di Omero)..."

Gli esempi che si possono fare sono troppi, passerò quindi alla narrativa Fantasy contemporanea.


Nel diciannovesimo secolo abbiamo Edgar Allan Poe e H.P. Lovecraft, è quindi errato definire Tolkien il padre del genere. Dopo viene H.G. Wells (di cui pochi, mi rammarico notare, conosco il suo 'La guerra dei mondi', reso famoso dal film di Spielberg) e prima, perdonate la mancanza, James Matthew Barrie, da molti ritenuto un altro classico ma indubbiamente di stampo Fantasy, giacché nessuno può rimanere bambino in eterno e poiché l'isolachenonc'è fisicamente non esiste. Abbiamo poi il celeberrimo Tolkien, maestro di vita e creatore di universi, troppo spesso ricordato per 'Il signore degli anelli' e non altre sue opere più rappresentative e concrete. C.S. Lewis con 'Le Cronache di Narnia', manifesto della morale cattolica (Aslan = Cristo) e anche Lewis Caroll, il cui 'Alice nel paese delle meraviglie' è divenuto una fiaba conosciutissima, ma pur sempre di stampo fantasy. Anche qui potremmo fare miliardi di esempi; dimentichiamo infatti Michale Ende con 'La Storia Infinita' e 'Momo' o, sempre più avanti, 'La saga della Torre Nera' di Stephe King, universo parallelo creato dall'acclamato genio della letteratura horror, o ancora 'Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco' di George R.R. Martin, dove viene demolito il mito delle macchiette bianche e nere del fantasy e i personaggi divengono per definizione 'grigi', una saga in cui l'autore non si perdona vere e proprie cattiverie ai protagonisti e dove nessuno è buono e nessuno è cattivo (è anche una grande esaltazione dei finti valori cavallereschi medievali). Oppure troviamo Terry Brooks, perseguitore del fantasy tolkeniano (definito high-fantasy) e dei suoi stereotipi. Anche autori come Neil Gaiman o Terry Pratchett hanno dato una svolta importante al tema del fantastico, introducendo l'autoironia e la critica socio-politica in universi alternativi. Philip Pullman è addirittura stato censurato dalla Chiesa Cattolica a causa delle sue idee emerse nella trilogia 'Queste Oscure Materie', dove egli combatte il totalitarismo religioso ancora oggi presente nel mondo; da ricordare anche l'aspetto dei 'daimon', che non sono altro che la personificazione della nostra coscienza.


Il fantasy è quindi un genere più diffuso di quanto si voglia credere. Anzi, ad essere sinceri, la maggior parte delle opere letterarie prodotte dall'umanità contiene elementi o trame di fantasia, tranne forse quelle correnti come il realismo et simila. Dire che si è contenti di vedere Tolkien insieme alla Troisi e non vicino a Pirandello o Pavese è un comportamento bigotto, perché il livello delle opere è pari, se non, talvolta, superiore. Certo, bisogna distinguere da Fantasy a Fantasy. Bryan di Boscoquieto è una favola per bambini (tra l'altro scritta malissimo), e Twilight è un romanzo rosa travestito da storia fantastica. Detto questo, ognuno è liberissimo di non amare il fantasy (che poi, la maggior parte delle volte, si tratta di un affermazione piuttosto ignorante basata sul parziale conoscimento delle opere high fantasy e di autori come Tolkien e Brooks, per l'appunto), ma da qua a dire che il fantasy non è letteratura ce ne passa! Le prime opere che si studiano a scuola sono fantasy, e questo lo dicono critici famosissimi, non solo Wikipedia. Tanti autori classici utilizzano espedienti fantastici. Quindi sì, il fantasy è letteratura e talvolta anche classico, se non volete vederlo sono affari vostri, ma è così.

lunedì 14 febbraio 2011

Il Nuovo Mondo - Racconto

Una minuscola goccia d’acqua gelida mi colpì il viso. Non potevo vederla, ma la sentivo così bene che era come se ci fossi stato dentro. Dalla fronte sudicia era colata giù in una corsa estenuante, raccogliendo tutta la sporcizia che vi si era accumulata durante quei giorni d’inferno. Infine aveva deviato verso destra tracciando un mezz’arco di brivido fino ad arrivare all’occhio chiuso. In quel momento sollevai le palpebre. Era notte.
La forza delle onde si stava intensificando; lo percepii quando il costante sbattere e ritrarsi dell’acqua contro lo scafo della nave si fece mano a mano più serrato. Ma in questo ciclo, c’era un istante in cui si fermavano e gorgogliavano, quasi a riprendere fiato, stanche della loro monotonia. Avrei voluto lasciarmi cullare. E immaginare di essere ancora libero. Questo sembrava urlassero le onde: libertà.
Mai come in quel momento odiai una parola del genere, così schifosamente buona, intrisa di valori che non esistono, solo sogni per un uomo come me. C’erano della corde attorno alle mie mani, e ce n’erano anche ai piedi, legati insieme e simili a due coglioni che si sposano non per volere, ma per potere.
Sentii degli urli tutto intorno a me.
«Una tempesta!» urlavano. «Una tempesta!»
Il vascello ondeggiò sempre più. Nella mia mente quel dondolio prese le sembianze di una ballerina africana, che danzava, e danzava… finché venni travolto da un’onda. L’acqua mi entrò nelle narici, nella bocca, negli occhi. Mi inzuppò i capelli già unti e lerci, mi sputò in faccia la sua nuda realtà; quella di essere viva, di poter decidere il mio destino. L’onda passò, e potei respirare di nuovo. Ma ne venne un’altra, e poi un’altra ancora. Mentre stavo forse annegando, iniziai a ricordare.

Gli inglesi attaccarono a sorpresa, nel pomeriggio. Accanto a me, Gabriel, insisteva nel dire che erano pirati.
«Bandiera nera! Per forza che sono pirati!»
«Pirati inglesi finanziati dalla corona.»
«Quindi sono pirati!» Lasciai perdere e rivolsi l’attenzione alla baia della città. Cadice non era in grado di difendersi da ventisette vascelli inglesi, armati. Forse lo sarebbe stata se non li avessero presi così alla sprovvista. Ma da dov’è che venivano, poi? Nessuna nave spagnola aveva avvistato la flotta inglese prima di quel momento, né si erano avute notizie di un gran numero di vascelli partiti dall’Inghilterra…
«Li prenderemo a calci nel culo! Finiranno in mare e imploreranno pietà, prostrati senza ritegno ai piedi dei nostri soldados!»
Sospirai. «Va bene, Gabriel. Vai a prendere i nostri fucili.»
Il ragazzo corse verso le abitazioni. Quindici anni, già così alto e così veloce…
Io rimasi sulla spiaggia, troppo catturato dal fuoco dei cannoni, da quel lento ingravidare delle macchine di morte, che sputavano poi i rotondi figli neri e li calciavano via, via, per non vederli, per non toccarli, perché scottavano, perché uccidevano.
Le donne, alcune già vedove, piangevano e indicavano a braccia tese verso la morte. Ogni tanto si udiva qualche stralcio di frase.
«Drake! È arrivato Francis Drake!»
Avevano paura. Ma cos’è la paura? Non voglio, come tanti, darle un significato. Mi basta sapere che meno paura si ha, meglio si vive.
E in quel momento io ne avevo sin troppa.
Gabriel tornò. Mi porse il fucile.
Calcolai a vista quando distavano le navi in mare: era fattibile. Ci sapevo fare con questo genere di cose. Per assurdo mi accorsi del fatto che con le donne non avevo la stessa scioltezza. Presi la mira e feci fuoco. Non potendo sapere se il colpo era andato a buon fine, feci fuoco di nuovo.
«L’ho colpito!» sentii Gabriel urlare. «L’ho colpito quel hijo de puta!»
«Non puoi saperlo.» ribattei.
Lui non rispose.
Andammo avanti a sparare a quei cani di inglesi per almeno un’ora. Ad un certo punto mi sembrò quasi di poter vedere un sottilissimo ricciolo di fumo che fuoriusciva dalla canna del fucile. Nasceva quando il proiettile veniva lanciato nel mondo, si levava durante la sua breve corsa, e poi si spegneva insieme a sua sorella, la pallottola, la morte.
Ma naturalmente non mi era possibile vederlo. Però lo immaginavo. Sì, ecco, lo immaginavo. Come mi immaginavo gli uomini sui ponti di quelle navi, a morire, a urlare e gridare e poi di nuovo a morire, perché non è sufficiente perdere una gamba a volte, bisogna aspettare anche l’ultima goccia di sangue che ha fretta di andarsene…
«Ti ho preso, Francis?» chiesi, più a me stesso che al mio amico.
Gabriel ridacchiò.
«Stiamo perdendo.» constatai.
«Succede.» rispose qualcuno.
Sulla spiaggia, gli abitanti di Cadice che potevano farlo, avevano imbracciato i fucili e, come noi due, si erano messi a dare man forte alle navi spagnole.
«Quello stronzo ha perso una nave sola!» gridò Gabriel.
Sputò sulla sabbia.
«Giuro su Dio che quegli inglesi non metteranno mai piede e Cádiz!»
«Non si giura su Dio.» replicai.

La tempesta peggiorò. Ogni minuto che passava, avevo la sensazione di ingoiare un litro d’acqua salata. Era terribile. La pioggia mi sferzava il viso ed ora, anziché un’unica gocciolina, miliardi di chiodi mi pungevano la carne, proprio lì, vicino agli occhi.
Oh. Ero bendato. Merda.
Ecco perché continuavo a chiedermi come mai non vedessi un cazzo. Ero bendato!
L’ennesima onda saltò sul ponte della nave. Come se i miei pensieri potessero parlare, l’acqua mi entrò in gola e li fece quietare.
Ma non finì lì: qualcosa mi sparò addosso nuovi ricordi.

Ed ecco che ricominciarono. I vascelli inglesi ripresero a fare fuoco a notte inoltrata, dopo una pausa che mi era sembrata durare un’eternità.
In seguito alla battaglia di quel pomeriggio, molti soldati raggiunsero a nuoto la riva, superstiti della distruzione totale delle loro barche. Depressi e pessimisti, riuscimmo a convincerli ugualmente a combattere con noi per opporre una minima resistenza a Drake.
«Quell’uomo è il diavolo.» disse uno. «Se ne stava immobile sul ponte del suo vascello, in piedi, la spada levata e la bocca sempre piena di cazzate come: “prendete il bottino!” “all’arrembaggio!” o ancora “ avanti ciurma!”. Pensa di essere furbo, che noi non lo crediamo un amico della reina. Si crede furbo, oh sì! Si crede molto furbo… »
Mi allontanai per urinare, quindi feci ritorno alla taverna in cui un oste si era offerto di servire la cena gratis, per quella sera. Notai Gabriel in un angolo che discuteva animatamente con una ragazza sui sedici, forse diciassette anni. Probabilmente lui ne stava fingendo diciotto, ma poco importava: la differenza non si notava nemmeno.
Presi la mia cena e mi sedetti al tavolo dove erano in corso accese discussioni sulla giornata appena trascorsa. Fuori, infuriavano i cannoni. Da un momento all’altro la mia testa sarebbe potuta volare via e oltrepassare la stanza fino ad andare a sbattere contro la parete della locanda, magari finendo nel piatto della cena di qualche sventurato.
«Ventisette navi!» stava urlando un uomo, già visibilmente ubriaco. «Contro le nostre trentasette! Nessun uomo riuscirebbe a fare una cosa del genere… non in un giorno!»
Pacatamente, qualcuno rispose: «Ci hanno colti di sorpresa, che vuoi farci… »
«No! Francis Drake è Satana! Vedrete come nuestro señor si vendicherà di quell’uomo, vedrete! Siete dei mascalzoni! Vermi schifosi, uh... carogne!»
Con quest’ultima ingiuria, si lasciò cadere violentemente la testa sul tavolo, esausto per il vino.
«Quanti ne aveva bevuti?» chiesi a quello che stava vicino a me.
«Era al decimo.» rispose questi con un sorriso, mettendo in fila i denti vecchi e marci.
Voltai la testa e vidi Gabriel mentre faceva passare il braccio attorno al collo della ragazza. Prima che la baciasse, tornai a focalizzare l’attenzione su ciò che veniva detto lì vicino. Ora che l’ubriaco aveva ceduto, era più facile ascoltare gli uomini discutere.
Una bomba finì da qualche parte non lontano da loro, e per un istante tutto tacque.
«Per quanto ancora intende bombardarci, quel cobarde?» chiesi, cercando di dar vita ad una discussione intelligente.
Un uomo dall’altra parte del tavolo fece spallucce. «Non per molto. Il governatore intende arrender-si. Dice che questo attacco degli inglesi è da vigliacchi, ma che non siamo in grado di contrastarlo senza che tutti i giovani della città vengano uccisi, quindi è costretto ad accettare la resa. Già me lo vedo, quel cane di Drake, che passeggia per Cádiz ricoperto del nostro oro e dei gioielli delle nostre mogli. Gli infilerei volentieri il mio fucile su per quel suo culo di inglese.»
L’immagine evocata provocò rumorose risate per tutta la sala. C’era una puzza di fumo e di birra molto pesante che aleggiava nel locale. Uscii per respirare un po’ d’aria fresca.
Un attimo dopo una bomba mi passò di pochissimo sopra la testa, tanto che i miei capelli più lunghi si bruciarono.
Mi voltai.
La locanda andava a fuoco.
«Gabriel!»

Ancora sale. Mi ricordò il pasto a base di pane umido che mi avevano servivo qualche ora prima, mentre ero in uno stato di semi incoscienza. Da quando i ricordi avevano iniziato ad affluire, mi sentivo più calmo.
Qualcuno urlò di liberare il prigioniero.
Ero prigioniero?
Ah, certo. Le corde alle mani, le corde ai piedi. La benda sugli occhi.
Ma la mia memoria non era prigioniera, no. Quella non lo sarebbe stata mai.
L’onda successiva rischiò di far finire verticalmente la nave. Questa si raddrizzò all’ultimo momento, imbarcando ancora più acqua di quanta non ne avesse già imbarcata.

Stelle rosse come tanti rubini, si espandevano, esplodevano, altre stelle e poi l’inferno totale.
«Gabriel!»
Trovai solo altre tre persone disposte ad aiutarmi con l’acqua: quasi l’intera città stava andando a fuoco. Quelli che potevano si erano già riversati fuori, alcuni erano vere e proprie torce umane. Dopo aver gettato la prima secchiata d’acqua fredda, corsi dentro per cercare il mio amico.
Trovai Gabriel disteso a pancia in giù sul pavimento in fiamme. Lo trascinai fuori e iniziò a tossire. Una donna mi passò un nuovo secchio, quindi lo gettai addosso al ragazzo. Insieme ad un sospiro doloroso, del fumo salì dal suo corpo.
«Grazie.» sussurrò.
Pensai che mi stesse ringraziando per il fatto di averlo salvato, invece piegò improvvisamente la testa di lato e chiuse gli occhi.
Con le lacrime che mi colavano impudiche dagli occhi, sollevai il suo corpo e mi diressi a passo lento verso la casa che le nostre famiglie condividevano da anni. Aprii la porta e subito la madre di Gabriel iniziò ad urlare e urlare come se urlando qualcuno avesse potuto riportarle di colpo indietro il figlio. Il padre si coprì il viso con le mani e si accasciò sulla sedia.
Ancora la donna, si mise le mani nei capelli, se li torse, se li strappò, si graffiò il viso, pianse e pianse senza ritegno. Corse verso il corpo del figlio e gli schiaffeggiò le guancie, gli spalancò gli occhi, pregò che fosse ancora vivo.
Ma non lo era.
Sussurrai un inconsapevole addio con le labbra impastate di odio.
Non mi restava che caricare il fucile e tornare sulla spiaggia.
Francis Drake e gli inglesi stavano sbarcando in quel momento. Le navi approdarono e gli uomini si riversarono in acqua, ansiosi di saccheggiare Cadice. Presi la mira e sparai.
Sparai.
Sparai.
Poi qualcuno sparò a me. Mi colpirono la gamba, ma io andai avanti a sparare come se niente fosse, come se non mi fossi inginocchiato sulla sabbia, come se dal buco dei pantaloni non sentissi i granellini minuscoli che mi pungevano la ferita. Nel bruciore infernale pensai che quei granelli assomigliavano tanto agli uomini, così tanti e così crudeli, pronti a ferire e ad uccidere, senza sapere perché, senza volerlo nemmeno.
«Venite avanti! Luridi bastardi!»
Il fucile mi cadde di mano: il dolore era troppo.
Ebbi la sensazione di volare, ma in realtà cadevo. Al mio posto c’era forse una piuma, leggera, soffice, innocente.
Udii una voce, così gelida e cristallina che mi fece pensare al mare d’inverno, al suo potere di creare onde anche nel freddo…
«Chi è costui?»
«Un abitante, signore. L’abbiamo trovato ancora con il fucile in mano, devo dedurre che sia quello che sparava ai nostri uomini mentre ci avvicinavano a riva. È ancora vivo.»
Chi aveva fatto la domanda sembrò esitare un istante.
Poi, con la stessa voce limpida di prima, disse: «Ora è un prigioniero della corona. Portatelo sulla mia nave, assisterà di persona alla disfatta della sua nazione.»
Fu così che venni catturato da Francis Drake.

«Devi capire» mi disse il pirata «Che ciò che sto facendo è necessario. Per il bene dell’Inghilterra, certo. Ma cosa pretendi? Che lasciamo a voi il dominio dei mari? Io sto navigando verso la vostra Invincibile Armata per sconfiggerla, per prendere possesso di… »
Parole che entravano. Parole che uscivano. Parole che non entravano e non uscivano. Francis Drake era un ottimo oratore, certo. Borghese, fedele alla regina, ricco e abituato a dare ordini. Ma aveva una concezione strana della politica: togli agli altri quello di cui hai bisogno, in modo che gli altri potranno poi tentare di riprenderselo, e così via, in un circolo vizioso.
«È così che vedo il mare, io. Un immenso gioco in cui vince chi si accaparra più spiagge di tutti… »
Sì, ecco. Un gioco. La guerra è un gioco.
«Mi stai ascoltando?»
«Sì.»
«Io sto conquistando una spiaggia dopo l’altra, e sono partito dall’America… per questo non sapevate del mio arrivo. Mi ascolti? Dicevo, non si può pensare di ottenere qualcosa senza dover uccidere. È un po’ come pensare di volare senza ali, non siamo mica uccelli!»
Qualcosa di bagnato mi corse lungo il volto, il corpo, l’anima. Stava piovendo? Era una lacrima? Non avrei saputo dirlo.
Francis Drake, vestito di nero, capelli neri, occhi neri.
Io, pallido e stanco, piangete e sofferente, un relitto di una battaglia già trascorsa. Un osservatore di nuove carneficine, di nuove spiagge e di nuovi mari.
Mi disse il pirata: «C’è aria di tempesta. Ti legheremo all’albero maestro, non si sa mai che ti venga l’idea di ammazzarti. Io voglio che tu guardi la fine del dominio spagnolo nei mari.»
«Mi hai già costretto a guardare il mio migliore amico morire, questo non ti basta?»
Drake si chinò su di me. «Quando Eva prese la mela e la porse ad Adamo, e i due mangiarono il frutto… ci venne donato il libero arbitrio. Sì, fu un dono… E io, a nome di quel libero arbitrio, ti farò soffrire.»

La tempesta durò molto, ma alla fine passò. Io mi ritrovai con i polsi e le caviglie slegate.
Gettai uno sguardo al sole, coprendomi la fronte con una mano. L’alba era giunta insieme alla pro-messa di una sconfitta per la Spagna.
Mi alzai e feci vagare lo sguardo attorno. Molti soldati si stavano ancora riprendendo da quanto era appena successo. Mossi due passi verso la balaustra della barca e guardai di sotto. Vi salii in piedi. Un soldato mi vide e mi puntò contro il fucile senza tante cerimonie. Prese la mira.
Saltai in mare.
Il soldato sparò.
Ricordo benissimo il dolore acuto che provai quando il proiettile raggiunse il mio petto. Ricordo di aver avuto come la sensazione che non mi avesse ferito mortalmente, che il buco che mi aveva aperto era piccolo ma ci avrebbe potuto sbirciare dentro il mondo intero. Vedere le mie paure, e pensare che dopotutto la paura è parte della vita, non averla è impossibile.
Fui salvato da un miracolo, perché quel cane di Drake; sì, proprio lui, fece sì che mi recuperassero e che mi curassero. Mi mise lì, davanti alla distruzione della flotta spagnola e del mio orgoglio di cittadino. Perché l’orgoglio della persona, quello… quello era già morto.
Nei miei sogni rividi Gabriel molto spesso.
Mi parlava, mi diceva che della morte non si deve avere paura, che si può avere paura di tutto, anche di se stessi, ma non della morte, non di lei. Perché, diceva, la morte è solo l’inizio di tutto. In un qualche modo che noi vivi non potevamo comprendere, il nostro corpo morto avrebbe regalato al mondo più vita di tutta quella che avremmo potuto immaginare. Mi disse che, in un certo senso, ogni volta che c’era una guerra, il nostro pianeta era felice. Sopravviveva grazie a noi, lui.
“Allora, Gabriel, se moriamo per un bene comune, perché quando succede alle persone che amiamo, poi ci ritroviamo a piangere?”
A questo non aveva risposto. O forse sì, ma io non ero riuscito a cogliere il significato di quello che aveva detto dopo.
“Siamo tutti uguali, amico mio, tutti. I pirati, Francis Drake, la regina, gli uomini, le donne, i bambini, i ragazzi. E tutti, vedi, pensiamo di essere speciali. Chi nella ricchezza e nel potere, e chi nella povertà. Chi nell’amore, nell’odio, nella vendetta, chi nella paura a vivere. Sì, c’è anche chi è talmente terrorizzato di ferirsi che si dimentica come andare avanti. Non è passato molto tempo dalla scoperta del nuovo mondo, amico mio. Lo vedi? Gli uomini pensano che ciò che è ancora da trovare sia lì fuori. Un nuovo mondo. Ma non sono capaci di trovarli i veri nuovi mondi, non sanno dove cercare. Fa paura solo pensare dove possano essere.”
“Tu lo sai dove sono?”
Aveva sorriso. Ma non il sorriso che aveva in vita, il sorriso della giovinezza, dell’ingenuità. Questa volta si trattava di un sorriso da adulto, con gli angoli della bocca piegati quasi forzatamente in alto. Il sorriso di chi è stanco e soffre, ma non per se stesso.

Dopo che Francis Drake sconfisse l’Invincibile Armata, dopo che uccise e fece uccidere essere umani grandi e piccoli, dopo che calpestò compiaciuto i cadaveri dei miei compatrioti… venne da me.
Mi si avvicinò e non c’era traccia di felicità sul suo volto.
«Tu.» mi disse. «Hai ancora molta sofferenza da provare nella vita.»
Solo anni dopo, finalmente, compresi dove si trovavano quei nuovi mondi di cui mi aveva parlato Gabriel in sogno. Erano dentro di noi. Da sempre.


FINE

martedì 8 febbraio 2011

Concorso racconti narrativa

Gli admin di BB sono lieti di presentarvi un concorso di racconti per darvi l'opportunità di dimostrare la vostra indubbia bravura.

Genere: Narrativa.
Sono consentiti deboli varianti sul genere psicologico e noir.

I Racconti dovranno essere lunghi minimo 2.000 e massimo 5.000 parole. Nel caso ve ne vengano 100 di più o 100 di meno, va bene lo stesso. Possono partecipare massimo 20 racconti. Nessuno può partecipare con più di un racconto. Nel caso di una vasta partecipazione, potremmo allargare il numero massimo da 20 a 25/30. Veranno fatte due selezioni:

- dopo la prima rimarranno in gara la metà dei racconti;

- dopo la seconda rimarranno in gara 3 racconti;

- proclamazione del vincitore.

Avrete tempo fino al 15 di Aprile per mandare i racconti a: marco.tamborrino@fastwebnet.it in formato word 2003 o 2007. È possibile che io ve li rimandi indietro per piccoli refusi o correzioni.
I cinque migliori racconti veranno messi insieme in un'antologia in file PDF ed e-book. L'antologia potrebbe diventare cartacea nel caso in cui i racconti si dimostrino veramente validi e curati. La pubblicazione avverrebbe con Print On Demand.

Non è richiesta alcuna somma di partecipazione.

Gli admin di Bestiario Barbaro:
- Tambo
- La V
- Pingu

mercoledì 26 gennaio 2011

Dubbi esistenziali

Quando i genitori ti dicono "guardare ma non toccare", lo fanno perché hanno scoperto che giocare a essere Dio non è poi tanto male. Guarda la mela ma non toccarla. E di mangiarla non pensarci nemmeno. Altrimenti guai a te. Guai guai guai. Tu sei giovane, e il libero arbitrio per te è ancora soltanto una parola. Se Eva non avesse colto la mela, potremmo ora decidere quale donna amare? Il nome da dare a nostro figlio? Quel morso è stato il primo passo verso la conoscenza, la nascita della filosofia. Il libero arbitrio. Quello che oggi stiamo perdendo, come se non ce l'avessimo mai avuto. E forse è vero. La pubblicità è lì apposta per ricordarcelo. Compra e sarai felice. Non comprare e sarai uno sfigato. Non pensarci, dice, non sei tu a decidere per te stesso.

La Germania aveva Hitler. L'Italia aveva Mussolini. La Spagna aveva Franco e la Russia aveva Stalin. Noi no. Noi abbiamo la televisione. Abbiamo luci e colori e il Grande Fratello. Dittatura. Pensa a che vestito mettere questa sera, al colore della cravatta, all'auto nuova che da alcuni giorni hai nel garage. Pensa a quanti bei programmi puoi vedere con la televisione. Pensa al telecomando. Te lo spacciano come simbolo di potere. Cambia canale. No. Spegni il televisore. Questo è potere: dire no. Dire basta. Vuoi il libero arbitrio? Spegni tutto, la tua mente funziona anche al buio.

Però non pensiamo.

Non studiamo.

Non leggiamo.

E così andiamo a dormire con un unico dubbio: ma che dentifricio ho usato stasera? Quello alla menta o quello alla fragola? Nel dubbio domani ne compro uno alla vaniglia.



*Ispirato dalla lettura di un libro di Chuck Palahniuk* (N.d.A.) ©

venerdì 21 gennaio 2011

Una vita per un'altra.

Ultimamente, grazie ad una canzone in particolare, mi sono sorpreso sovente a riflettere su questioni di dubbia utilità ma stimolanti per il mio deviato intelletto. Il punto principale si riassume nella frase "Dimmi, uccideresti per salvare una vita?" (Tell me, would you kill to save a life?). Questa riflessione mi porta a fare un rapido elenco mentale delle persone che nella mia vita si riserverebbero questo onore, e con orrore mi sono reso conto che sono parecchie. Troppe. Il problema è che quasi nessuna di queste parecchie persone se lo meriterebbe. Allora perché dovrei fare una cosa del genere? Ho la sgradevole sensazione che consideri la vita degli altri più importante e bella della mia dal punto di vista sentimentalistico. Artisticamente parlando, io sono insuperabile; quindi non tentate nemmeno questa ardua e tortuosa via.
Le persone che si meriterebbero veramente questa cosa da me, si contano sulle dita di una mano. Monca.

E voi? Parliamone.

martedì 18 gennaio 2011

Lode a Khione


Khione

Gelida sì, e pura in egual misura,
la neve mia quieta e candida scende.
Splendea il dolce volto d’un fanciullo,
veloce egli solleva l’intrepida mano,
‘l fior di cristallo calò sul palmo ignudo.
Parea la neve che avesse occhi et
intellecto, oltre alla sì grande beltà.
Mirava ‘l fanciullo e infine cantò
alla dea sua, Khione,
neve del core e degli animi nostri.
Ella vivea in ciò che una volta fue
in terra: ‘l tetro inverno
e la vita mortale.
Ti sente ‘l fanciullo sulla mano sua,
ignuda, e duole nel sentire il freddo
del tuo corpo sul suo.
Doni calore, o Khione, a chi
‘l cristallo e dentro al tuo viso,
vuol vedere.


©

lunedì 10 gennaio 2011

Trainspotting - Irvine Welsh

Libro decadente, reale, triste, soffocante. Libro che ritrae quello spicchio di una generazione passata, quella generazione che ha conosciuto la droga, prima e più pericolosa fra tutte, l'eroina. Alcuni episodi, però, non mi sono piaciuti. Ad esempio quello di Davie che uccide Alan Venters dopo avergli fatto vedere le false foto dell'omicio di suo figlio da lui perpetrato. Insomma, la crudeltà ha anche un limite? Ti avrà anche trasmetto l'AIDS, ma cazzo, siamo umani. Ah, poi. La volgarità. Lo capisco che è voluta, e io sono il primo a dire che ci deve essere in un libro, specialmente in un libro del genere; ma qui è veramente troppo. Quando parla Franco, poi. In definitiva: non è il capolavoro decantato dal 90% delle persone che l'hanno letto. Non è nemmeno un libro pessimo, e questa via di mezzo non mi lascia la voglia di farne una recensione dettagliata: non ne varrebbe la pena. Al che, mi accingo a concludere. Trainspotting è un libro che va letto, specie dai giovani. Ti vengono i brividi in certe scene; personalmente in quelle dove i protagonisti si bucavano, e dopo iniziavano ad avere tutti quei dolori e problemi. Non incita a drogarsi, ma semplicemente racconta cosa significa esserlo, un drogato. Certe frasi, però, come "prendi il tuo orgasmo migliore e moltiplicalo per venti, non ci arrivi nemmeno al risultato, cazzo" possono essere fraintese. Uno sprovveduto cosa va a pensare? Che bucarsi una volta potrebbe essere figo, così, tanto per provare. Irvine Welsh, da ex tossicodipendente, ha descritto alla perfezione - o quasi - il mondo che una volta lo tormentava. Ma noi, poveri e cretini lettori, non siamo stati tossici, e nemmeno lo siamo. Non abbiamo la stessa percezione di quel mondo, perciò a volte ci appare lontano e sfocato. Leggere Trainspotting, per me è significato paradossalmente leggere un fantasy. È una realtà che lentamente sta svanendo, l'uso di droghe pesanti è ormai assai limitato, mentre personalmente sono per la legalizzazione di quelle leggere. No, non ne ho mai provata una (e non ho in programma di farlo), ma non penso che uno rischi la morte neanche lontanamente se si fa una canna al giorno d'oggi. Vedi Olanda dove sono legalizzate. In conclusione...
... ho trovato più utile Fight Club, sulla stessa scia d'onda.
Sufficiente, forse un po' di più. 3/5