"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

lunedì 14 febbraio 2011

Il Nuovo Mondo - Racconto

Una minuscola goccia d’acqua gelida mi colpì il viso. Non potevo vederla, ma la sentivo così bene che era come se ci fossi stato dentro. Dalla fronte sudicia era colata giù in una corsa estenuante, raccogliendo tutta la sporcizia che vi si era accumulata durante quei giorni d’inferno. Infine aveva deviato verso destra tracciando un mezz’arco di brivido fino ad arrivare all’occhio chiuso. In quel momento sollevai le palpebre. Era notte.
La forza delle onde si stava intensificando; lo percepii quando il costante sbattere e ritrarsi dell’acqua contro lo scafo della nave si fece mano a mano più serrato. Ma in questo ciclo, c’era un istante in cui si fermavano e gorgogliavano, quasi a riprendere fiato, stanche della loro monotonia. Avrei voluto lasciarmi cullare. E immaginare di essere ancora libero. Questo sembrava urlassero le onde: libertà.
Mai come in quel momento odiai una parola del genere, così schifosamente buona, intrisa di valori che non esistono, solo sogni per un uomo come me. C’erano della corde attorno alle mie mani, e ce n’erano anche ai piedi, legati insieme e simili a due coglioni che si sposano non per volere, ma per potere.
Sentii degli urli tutto intorno a me.
«Una tempesta!» urlavano. «Una tempesta!»
Il vascello ondeggiò sempre più. Nella mia mente quel dondolio prese le sembianze di una ballerina africana, che danzava, e danzava… finché venni travolto da un’onda. L’acqua mi entrò nelle narici, nella bocca, negli occhi. Mi inzuppò i capelli già unti e lerci, mi sputò in faccia la sua nuda realtà; quella di essere viva, di poter decidere il mio destino. L’onda passò, e potei respirare di nuovo. Ma ne venne un’altra, e poi un’altra ancora. Mentre stavo forse annegando, iniziai a ricordare.

Gli inglesi attaccarono a sorpresa, nel pomeriggio. Accanto a me, Gabriel, insisteva nel dire che erano pirati.
«Bandiera nera! Per forza che sono pirati!»
«Pirati inglesi finanziati dalla corona.»
«Quindi sono pirati!» Lasciai perdere e rivolsi l’attenzione alla baia della città. Cadice non era in grado di difendersi da ventisette vascelli inglesi, armati. Forse lo sarebbe stata se non li avessero presi così alla sprovvista. Ma da dov’è che venivano, poi? Nessuna nave spagnola aveva avvistato la flotta inglese prima di quel momento, né si erano avute notizie di un gran numero di vascelli partiti dall’Inghilterra…
«Li prenderemo a calci nel culo! Finiranno in mare e imploreranno pietà, prostrati senza ritegno ai piedi dei nostri soldados!»
Sospirai. «Va bene, Gabriel. Vai a prendere i nostri fucili.»
Il ragazzo corse verso le abitazioni. Quindici anni, già così alto e così veloce…
Io rimasi sulla spiaggia, troppo catturato dal fuoco dei cannoni, da quel lento ingravidare delle macchine di morte, che sputavano poi i rotondi figli neri e li calciavano via, via, per non vederli, per non toccarli, perché scottavano, perché uccidevano.
Le donne, alcune già vedove, piangevano e indicavano a braccia tese verso la morte. Ogni tanto si udiva qualche stralcio di frase.
«Drake! È arrivato Francis Drake!»
Avevano paura. Ma cos’è la paura? Non voglio, come tanti, darle un significato. Mi basta sapere che meno paura si ha, meglio si vive.
E in quel momento io ne avevo sin troppa.
Gabriel tornò. Mi porse il fucile.
Calcolai a vista quando distavano le navi in mare: era fattibile. Ci sapevo fare con questo genere di cose. Per assurdo mi accorsi del fatto che con le donne non avevo la stessa scioltezza. Presi la mira e feci fuoco. Non potendo sapere se il colpo era andato a buon fine, feci fuoco di nuovo.
«L’ho colpito!» sentii Gabriel urlare. «L’ho colpito quel hijo de puta!»
«Non puoi saperlo.» ribattei.
Lui non rispose.
Andammo avanti a sparare a quei cani di inglesi per almeno un’ora. Ad un certo punto mi sembrò quasi di poter vedere un sottilissimo ricciolo di fumo che fuoriusciva dalla canna del fucile. Nasceva quando il proiettile veniva lanciato nel mondo, si levava durante la sua breve corsa, e poi si spegneva insieme a sua sorella, la pallottola, la morte.
Ma naturalmente non mi era possibile vederlo. Però lo immaginavo. Sì, ecco, lo immaginavo. Come mi immaginavo gli uomini sui ponti di quelle navi, a morire, a urlare e gridare e poi di nuovo a morire, perché non è sufficiente perdere una gamba a volte, bisogna aspettare anche l’ultima goccia di sangue che ha fretta di andarsene…
«Ti ho preso, Francis?» chiesi, più a me stesso che al mio amico.
Gabriel ridacchiò.
«Stiamo perdendo.» constatai.
«Succede.» rispose qualcuno.
Sulla spiaggia, gli abitanti di Cadice che potevano farlo, avevano imbracciato i fucili e, come noi due, si erano messi a dare man forte alle navi spagnole.
«Quello stronzo ha perso una nave sola!» gridò Gabriel.
Sputò sulla sabbia.
«Giuro su Dio che quegli inglesi non metteranno mai piede e Cádiz!»
«Non si giura su Dio.» replicai.

La tempesta peggiorò. Ogni minuto che passava, avevo la sensazione di ingoiare un litro d’acqua salata. Era terribile. La pioggia mi sferzava il viso ed ora, anziché un’unica gocciolina, miliardi di chiodi mi pungevano la carne, proprio lì, vicino agli occhi.
Oh. Ero bendato. Merda.
Ecco perché continuavo a chiedermi come mai non vedessi un cazzo. Ero bendato!
L’ennesima onda saltò sul ponte della nave. Come se i miei pensieri potessero parlare, l’acqua mi entrò in gola e li fece quietare.
Ma non finì lì: qualcosa mi sparò addosso nuovi ricordi.

Ed ecco che ricominciarono. I vascelli inglesi ripresero a fare fuoco a notte inoltrata, dopo una pausa che mi era sembrata durare un’eternità.
In seguito alla battaglia di quel pomeriggio, molti soldati raggiunsero a nuoto la riva, superstiti della distruzione totale delle loro barche. Depressi e pessimisti, riuscimmo a convincerli ugualmente a combattere con noi per opporre una minima resistenza a Drake.
«Quell’uomo è il diavolo.» disse uno. «Se ne stava immobile sul ponte del suo vascello, in piedi, la spada levata e la bocca sempre piena di cazzate come: “prendete il bottino!” “all’arrembaggio!” o ancora “ avanti ciurma!”. Pensa di essere furbo, che noi non lo crediamo un amico della reina. Si crede furbo, oh sì! Si crede molto furbo… »
Mi allontanai per urinare, quindi feci ritorno alla taverna in cui un oste si era offerto di servire la cena gratis, per quella sera. Notai Gabriel in un angolo che discuteva animatamente con una ragazza sui sedici, forse diciassette anni. Probabilmente lui ne stava fingendo diciotto, ma poco importava: la differenza non si notava nemmeno.
Presi la mia cena e mi sedetti al tavolo dove erano in corso accese discussioni sulla giornata appena trascorsa. Fuori, infuriavano i cannoni. Da un momento all’altro la mia testa sarebbe potuta volare via e oltrepassare la stanza fino ad andare a sbattere contro la parete della locanda, magari finendo nel piatto della cena di qualche sventurato.
«Ventisette navi!» stava urlando un uomo, già visibilmente ubriaco. «Contro le nostre trentasette! Nessun uomo riuscirebbe a fare una cosa del genere… non in un giorno!»
Pacatamente, qualcuno rispose: «Ci hanno colti di sorpresa, che vuoi farci… »
«No! Francis Drake è Satana! Vedrete come nuestro señor si vendicherà di quell’uomo, vedrete! Siete dei mascalzoni! Vermi schifosi, uh... carogne!»
Con quest’ultima ingiuria, si lasciò cadere violentemente la testa sul tavolo, esausto per il vino.
«Quanti ne aveva bevuti?» chiesi a quello che stava vicino a me.
«Era al decimo.» rispose questi con un sorriso, mettendo in fila i denti vecchi e marci.
Voltai la testa e vidi Gabriel mentre faceva passare il braccio attorno al collo della ragazza. Prima che la baciasse, tornai a focalizzare l’attenzione su ciò che veniva detto lì vicino. Ora che l’ubriaco aveva ceduto, era più facile ascoltare gli uomini discutere.
Una bomba finì da qualche parte non lontano da loro, e per un istante tutto tacque.
«Per quanto ancora intende bombardarci, quel cobarde?» chiesi, cercando di dar vita ad una discussione intelligente.
Un uomo dall’altra parte del tavolo fece spallucce. «Non per molto. Il governatore intende arrender-si. Dice che questo attacco degli inglesi è da vigliacchi, ma che non siamo in grado di contrastarlo senza che tutti i giovani della città vengano uccisi, quindi è costretto ad accettare la resa. Già me lo vedo, quel cane di Drake, che passeggia per Cádiz ricoperto del nostro oro e dei gioielli delle nostre mogli. Gli infilerei volentieri il mio fucile su per quel suo culo di inglese.»
L’immagine evocata provocò rumorose risate per tutta la sala. C’era una puzza di fumo e di birra molto pesante che aleggiava nel locale. Uscii per respirare un po’ d’aria fresca.
Un attimo dopo una bomba mi passò di pochissimo sopra la testa, tanto che i miei capelli più lunghi si bruciarono.
Mi voltai.
La locanda andava a fuoco.
«Gabriel!»

Ancora sale. Mi ricordò il pasto a base di pane umido che mi avevano servivo qualche ora prima, mentre ero in uno stato di semi incoscienza. Da quando i ricordi avevano iniziato ad affluire, mi sentivo più calmo.
Qualcuno urlò di liberare il prigioniero.
Ero prigioniero?
Ah, certo. Le corde alle mani, le corde ai piedi. La benda sugli occhi.
Ma la mia memoria non era prigioniera, no. Quella non lo sarebbe stata mai.
L’onda successiva rischiò di far finire verticalmente la nave. Questa si raddrizzò all’ultimo momento, imbarcando ancora più acqua di quanta non ne avesse già imbarcata.

Stelle rosse come tanti rubini, si espandevano, esplodevano, altre stelle e poi l’inferno totale.
«Gabriel!»
Trovai solo altre tre persone disposte ad aiutarmi con l’acqua: quasi l’intera città stava andando a fuoco. Quelli che potevano si erano già riversati fuori, alcuni erano vere e proprie torce umane. Dopo aver gettato la prima secchiata d’acqua fredda, corsi dentro per cercare il mio amico.
Trovai Gabriel disteso a pancia in giù sul pavimento in fiamme. Lo trascinai fuori e iniziò a tossire. Una donna mi passò un nuovo secchio, quindi lo gettai addosso al ragazzo. Insieme ad un sospiro doloroso, del fumo salì dal suo corpo.
«Grazie.» sussurrò.
Pensai che mi stesse ringraziando per il fatto di averlo salvato, invece piegò improvvisamente la testa di lato e chiuse gli occhi.
Con le lacrime che mi colavano impudiche dagli occhi, sollevai il suo corpo e mi diressi a passo lento verso la casa che le nostre famiglie condividevano da anni. Aprii la porta e subito la madre di Gabriel iniziò ad urlare e urlare come se urlando qualcuno avesse potuto riportarle di colpo indietro il figlio. Il padre si coprì il viso con le mani e si accasciò sulla sedia.
Ancora la donna, si mise le mani nei capelli, se li torse, se li strappò, si graffiò il viso, pianse e pianse senza ritegno. Corse verso il corpo del figlio e gli schiaffeggiò le guancie, gli spalancò gli occhi, pregò che fosse ancora vivo.
Ma non lo era.
Sussurrai un inconsapevole addio con le labbra impastate di odio.
Non mi restava che caricare il fucile e tornare sulla spiaggia.
Francis Drake e gli inglesi stavano sbarcando in quel momento. Le navi approdarono e gli uomini si riversarono in acqua, ansiosi di saccheggiare Cadice. Presi la mira e sparai.
Sparai.
Sparai.
Poi qualcuno sparò a me. Mi colpirono la gamba, ma io andai avanti a sparare come se niente fosse, come se non mi fossi inginocchiato sulla sabbia, come se dal buco dei pantaloni non sentissi i granellini minuscoli che mi pungevano la ferita. Nel bruciore infernale pensai che quei granelli assomigliavano tanto agli uomini, così tanti e così crudeli, pronti a ferire e ad uccidere, senza sapere perché, senza volerlo nemmeno.
«Venite avanti! Luridi bastardi!»
Il fucile mi cadde di mano: il dolore era troppo.
Ebbi la sensazione di volare, ma in realtà cadevo. Al mio posto c’era forse una piuma, leggera, soffice, innocente.
Udii una voce, così gelida e cristallina che mi fece pensare al mare d’inverno, al suo potere di creare onde anche nel freddo…
«Chi è costui?»
«Un abitante, signore. L’abbiamo trovato ancora con il fucile in mano, devo dedurre che sia quello che sparava ai nostri uomini mentre ci avvicinavano a riva. È ancora vivo.»
Chi aveva fatto la domanda sembrò esitare un istante.
Poi, con la stessa voce limpida di prima, disse: «Ora è un prigioniero della corona. Portatelo sulla mia nave, assisterà di persona alla disfatta della sua nazione.»
Fu così che venni catturato da Francis Drake.

«Devi capire» mi disse il pirata «Che ciò che sto facendo è necessario. Per il bene dell’Inghilterra, certo. Ma cosa pretendi? Che lasciamo a voi il dominio dei mari? Io sto navigando verso la vostra Invincibile Armata per sconfiggerla, per prendere possesso di… »
Parole che entravano. Parole che uscivano. Parole che non entravano e non uscivano. Francis Drake era un ottimo oratore, certo. Borghese, fedele alla regina, ricco e abituato a dare ordini. Ma aveva una concezione strana della politica: togli agli altri quello di cui hai bisogno, in modo che gli altri potranno poi tentare di riprenderselo, e così via, in un circolo vizioso.
«È così che vedo il mare, io. Un immenso gioco in cui vince chi si accaparra più spiagge di tutti… »
Sì, ecco. Un gioco. La guerra è un gioco.
«Mi stai ascoltando?»
«Sì.»
«Io sto conquistando una spiaggia dopo l’altra, e sono partito dall’America… per questo non sapevate del mio arrivo. Mi ascolti? Dicevo, non si può pensare di ottenere qualcosa senza dover uccidere. È un po’ come pensare di volare senza ali, non siamo mica uccelli!»
Qualcosa di bagnato mi corse lungo il volto, il corpo, l’anima. Stava piovendo? Era una lacrima? Non avrei saputo dirlo.
Francis Drake, vestito di nero, capelli neri, occhi neri.
Io, pallido e stanco, piangete e sofferente, un relitto di una battaglia già trascorsa. Un osservatore di nuove carneficine, di nuove spiagge e di nuovi mari.
Mi disse il pirata: «C’è aria di tempesta. Ti legheremo all’albero maestro, non si sa mai che ti venga l’idea di ammazzarti. Io voglio che tu guardi la fine del dominio spagnolo nei mari.»
«Mi hai già costretto a guardare il mio migliore amico morire, questo non ti basta?»
Drake si chinò su di me. «Quando Eva prese la mela e la porse ad Adamo, e i due mangiarono il frutto… ci venne donato il libero arbitrio. Sì, fu un dono… E io, a nome di quel libero arbitrio, ti farò soffrire.»

La tempesta durò molto, ma alla fine passò. Io mi ritrovai con i polsi e le caviglie slegate.
Gettai uno sguardo al sole, coprendomi la fronte con una mano. L’alba era giunta insieme alla pro-messa di una sconfitta per la Spagna.
Mi alzai e feci vagare lo sguardo attorno. Molti soldati si stavano ancora riprendendo da quanto era appena successo. Mossi due passi verso la balaustra della barca e guardai di sotto. Vi salii in piedi. Un soldato mi vide e mi puntò contro il fucile senza tante cerimonie. Prese la mira.
Saltai in mare.
Il soldato sparò.
Ricordo benissimo il dolore acuto che provai quando il proiettile raggiunse il mio petto. Ricordo di aver avuto come la sensazione che non mi avesse ferito mortalmente, che il buco che mi aveva aperto era piccolo ma ci avrebbe potuto sbirciare dentro il mondo intero. Vedere le mie paure, e pensare che dopotutto la paura è parte della vita, non averla è impossibile.
Fui salvato da un miracolo, perché quel cane di Drake; sì, proprio lui, fece sì che mi recuperassero e che mi curassero. Mi mise lì, davanti alla distruzione della flotta spagnola e del mio orgoglio di cittadino. Perché l’orgoglio della persona, quello… quello era già morto.
Nei miei sogni rividi Gabriel molto spesso.
Mi parlava, mi diceva che della morte non si deve avere paura, che si può avere paura di tutto, anche di se stessi, ma non della morte, non di lei. Perché, diceva, la morte è solo l’inizio di tutto. In un qualche modo che noi vivi non potevamo comprendere, il nostro corpo morto avrebbe regalato al mondo più vita di tutta quella che avremmo potuto immaginare. Mi disse che, in un certo senso, ogni volta che c’era una guerra, il nostro pianeta era felice. Sopravviveva grazie a noi, lui.
“Allora, Gabriel, se moriamo per un bene comune, perché quando succede alle persone che amiamo, poi ci ritroviamo a piangere?”
A questo non aveva risposto. O forse sì, ma io non ero riuscito a cogliere il significato di quello che aveva detto dopo.
“Siamo tutti uguali, amico mio, tutti. I pirati, Francis Drake, la regina, gli uomini, le donne, i bambini, i ragazzi. E tutti, vedi, pensiamo di essere speciali. Chi nella ricchezza e nel potere, e chi nella povertà. Chi nell’amore, nell’odio, nella vendetta, chi nella paura a vivere. Sì, c’è anche chi è talmente terrorizzato di ferirsi che si dimentica come andare avanti. Non è passato molto tempo dalla scoperta del nuovo mondo, amico mio. Lo vedi? Gli uomini pensano che ciò che è ancora da trovare sia lì fuori. Un nuovo mondo. Ma non sono capaci di trovarli i veri nuovi mondi, non sanno dove cercare. Fa paura solo pensare dove possano essere.”
“Tu lo sai dove sono?”
Aveva sorriso. Ma non il sorriso che aveva in vita, il sorriso della giovinezza, dell’ingenuità. Questa volta si trattava di un sorriso da adulto, con gli angoli della bocca piegati quasi forzatamente in alto. Il sorriso di chi è stanco e soffre, ma non per se stesso.

Dopo che Francis Drake sconfisse l’Invincibile Armata, dopo che uccise e fece uccidere essere umani grandi e piccoli, dopo che calpestò compiaciuto i cadaveri dei miei compatrioti… venne da me.
Mi si avvicinò e non c’era traccia di felicità sul suo volto.
«Tu.» mi disse. «Hai ancora molta sofferenza da provare nella vita.»
Solo anni dopo, finalmente, compresi dove si trovavano quei nuovi mondi di cui mi aveva parlato Gabriel in sogno. Erano dentro di noi. Da sempre.


FINE

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