Bombardano dentro
Uno dei camerieri del ristorante che gestiva mio padre (e di cui era lo chef), Lucas, venne a casa nostra poco prima di cena per dirmi che Michael, l’altro cameriere, non si era sentito molto bene, e che io avrei dovuto sostituirlo. Era già successo altre volte, così presi la bici e seguii Lucas fino al ristorante.
Quella sera servii ai tavoli e ascoltai svariati discorsi.
Una donna anziana che cenava da sola mi fece i complimenti per i miei occhi verdi e si lanciò in un appassionato monologo sull’importanza del capitalismo; ella riusciva a dirmi un sacco di cose nel solo intervallo di tempo in cui le portavo i piatti.
– I comunisti ci vogliono tutti uguali! E poi…
E poi mi allontanavo, ma lei ritornava all’attacco non appena ero nuovamente nei paraggi.
Una ricca copia veniva da New York e litigava sul fatto che quella vacanza fosse una “vaccata” (testuali parole) e che lì non ci fosse niente da fare, né la vita era molto movimentata come quella cui erano abituati. Erano allergici alla quiete.
George, mio padre, mi diede il permesso di andare a casa solo alle dieci. Vi arrivai sfinito e, dopo aver mangiato controvoglia una fetta della torta avanzata, mi buttai sul letto e mi ad-dormentai immediatamente.
La mattina dopo, il signor Johnson, neanche a farlo apposta, tenne una lezione sulla Rivoluzione d’Ottobre e sull’ideologia comunista. Secondo lui il comunismo in sé era qualcosa di molto nobile, solo che era utopico e impossibile da realizzare. Questo aveva portato a milioni di morti. Fui sorpreso della condizione in cui si trovavano i cittadini russi prima di quell’ottobre.
Chris fece uno dei suoi logorroici ma stimolanti interventi sull’importanza dei diritti umani e della distribuzione equilibrata delle ricchezze.
– Io ritengo che ogni rivoluzione abbia i suoi perché.
Il signor Johnson sospirò esasperato. – Su questo punto concordiamo tutti, Christopher.
– Certo, ma i russi non avevano la cultura necessaria per tenere in piedi un nuovo ordine, giusto? La rivoluzione la fanno i poveri, gli operai, quelli la cui dignità viene calpestata ogni giorno. Facile lamentarsi quando si ha tutto.
Calò il silenzio.
Nessuno osava commentare.
Il signor Johnson si alzò e andò alla lavagna. – Tema per settimana prossima: come evitare le rivoluzioni.
Al pomeriggio avevo un’importante partita di tennis al campo della scuola. Chris venne a vedermi insieme a una ragazza del liceo femminile che non avevo mai visto. Era carina e sorridente, ma l’avrei conosciuta meglio dopo aver giocato. Chris sembrava un po’ imbarazzato, e ciò mi mise di buon umore a causa dell’affetto che provavo nei suoi confronti.
Era una giornata soleggiata ma molto fredda, Natale era vicino, quindi c’erano poche persone ad assistere, e riuscii a trattenere meglio il nervosismo.
Vinsi facilmente e andai a stringere la mano all’avversario, un ragazzetto bruno e basso che non se la prese minimamente per la sconfitta.
Chris venne a congratularsi con me dandomi un’amichevole pacca sulla spalla.
– Domani è sabato, quindi stasera si festeggia! Ho una cosina speciale per divertirci.
Mi fece l’occhiolino.
– Ah, e questa è Julia.
Le strinsi la mano. – Piacere Julia, io sono Charlie.
– Ciao, Charlie, begli occhi.
Le sorrisi. – Grazie.
– Ti aspettiamo all’uscita da scuola, vai a lavarti che puzzi! – concluse Chris.
Salutai e andai negli spogliatoi per farmi la doccia. Insieme al sudore cercai di lavar via anche il senso di smarrimento che mi opprimeva, ma non ci riuscii.
Quella sera i miei andarono a teatro, e non sarebbero stati di ritorno prima dell’una di notte. Chris colse l’occasione al volo e mi chiese se lui e Julia sarebbero potuti venire da me per svagarsi un po’. Alan non avrebbe dato fastidio, senza contare che tra lui e Chris c’era un particolare rapporto basato su battutine a sfondo culturale, e Chris si divertiva tantissimo, nonostante la maggior parte delle volte ne uscisse sconfitto.
La sorpresina di cui mi parlava alla partita non era altro che tre bottigliette di vodka ancora chiuse.
– Ho pensato, – mi disse, – che se non hai niente da nascondere ti darai alla pazza gioia.
– Chris, non so…
Mi mise una mano sulla spalla. – Charlie, amico mio, quando i tuoi genitori saranno tornati, noi saremo già a casa nostra e tu a dormire come un sasso.
Alla fine mi convinse, e nonostante mio fratello iniziò a fare storie non appena vide la vodka, presto Chris lo fece tranquillizzare, iniziando così il loro consueto battibecco.
Io ne bevvi un sorso e poi iniziai a parlare con Julia.
– Come hai conosciuto Chris? – le chiesi.
– Oh, dev’essere successo in qualche piazza mentre teneva un comizio.
Strabuzzai gli occhi.
– Sto scherzando, scemo – rise lei.
Bevvi un altro sorso e un altro ancora. Avendo finito il bicchiere, chiesi a Chris di riempirmelo. Lui non se lo fece ripetere due volte.
Alan e il mio amico misero su il disco con il primo album di Little Richard e ciò mi indusse a scolarmi anche il secondo bicchiere di vodka.
– Ehi, vacci piano.
– Ma non ho niente da nascondere, come dice Chris.
– Chaaarlie, tuo fratello non sa qual è la capitale della Mongolia!
Scoppiai a ridere rumorosamente. – Ma nemmeno tu, Chris!
Venne vicino a me e mi versò altra vodka. – Questa sera non mi sfuggi, devi dirmi cos’hai che non va! Fattelo dire tu, Julia! Fatti dire da Charlie cos’ha che non va!
La ragazza mi guardò con aria interrogativa. – Che intende dire?
– Niente.
Bevvi anche il terzo bicchiere.
Chris me ne versò subito uno nuovo.
– Intendo dire – disse – che Charlie è molto chiuso negli ultimi tempi. E soprattutto non scrive più. Te l’avevo detto che scriveva? Sì, insomma, dovresti vedere le poesie e i racconti, sono molto belli, e ne ha scritti tantissimi! Solo che ora dice che ha smesso.
Sorseggiai il quarto bicchiere. – Non riesco più a scrivere perché vorrei scrivere troppe cose – mormorai.
– Questo a me l’hai già detto, amico – rispose Chris. – Quello che non mi hai detto è cosa vorresti scrivere. Sono sicuro che nella confusione della tua testa tu abbia delle idee ben fisse.
Alan ascoltava, in silenzio. Little Richard copriva i pensieri.
Mi versai da solo altra vodka. La testa mi girava ma ero in estasi, e a un passo dal rivelare le mie intenzioni.
– Voglio andarmene.
In quel momento si concluse la canzone di Little Richard.
Uno dei camerieri del ristorante che gestiva mio padre (e di cui era lo chef), Lucas, venne a casa nostra poco prima di cena per dirmi che Michael, l’altro cameriere, non si era sentito molto bene, e che io avrei dovuto sostituirlo. Era già successo altre volte, così presi la bici e seguii Lucas fino al ristorante.
Quella sera servii ai tavoli e ascoltai svariati discorsi.
Una donna anziana che cenava da sola mi fece i complimenti per i miei occhi verdi e si lanciò in un appassionato monologo sull’importanza del capitalismo; ella riusciva a dirmi un sacco di cose nel solo intervallo di tempo in cui le portavo i piatti.
– I comunisti ci vogliono tutti uguali! E poi…
E poi mi allontanavo, ma lei ritornava all’attacco non appena ero nuovamente nei paraggi.
Una ricca copia veniva da New York e litigava sul fatto che quella vacanza fosse una “vaccata” (testuali parole) e che lì non ci fosse niente da fare, né la vita era molto movimentata come quella cui erano abituati. Erano allergici alla quiete.
George, mio padre, mi diede il permesso di andare a casa solo alle dieci. Vi arrivai sfinito e, dopo aver mangiato controvoglia una fetta della torta avanzata, mi buttai sul letto e mi ad-dormentai immediatamente.
La mattina dopo, il signor Johnson, neanche a farlo apposta, tenne una lezione sulla Rivoluzione d’Ottobre e sull’ideologia comunista. Secondo lui il comunismo in sé era qualcosa di molto nobile, solo che era utopico e impossibile da realizzare. Questo aveva portato a milioni di morti. Fui sorpreso della condizione in cui si trovavano i cittadini russi prima di quell’ottobre.
Chris fece uno dei suoi logorroici ma stimolanti interventi sull’importanza dei diritti umani e della distribuzione equilibrata delle ricchezze.
– Io ritengo che ogni rivoluzione abbia i suoi perché.
Il signor Johnson sospirò esasperato. – Su questo punto concordiamo tutti, Christopher.
– Certo, ma i russi non avevano la cultura necessaria per tenere in piedi un nuovo ordine, giusto? La rivoluzione la fanno i poveri, gli operai, quelli la cui dignità viene calpestata ogni giorno. Facile lamentarsi quando si ha tutto.
Calò il silenzio.
Nessuno osava commentare.
Il signor Johnson si alzò e andò alla lavagna. – Tema per settimana prossima: come evitare le rivoluzioni.
Al pomeriggio avevo un’importante partita di tennis al campo della scuola. Chris venne a vedermi insieme a una ragazza del liceo femminile che non avevo mai visto. Era carina e sorridente, ma l’avrei conosciuta meglio dopo aver giocato. Chris sembrava un po’ imbarazzato, e ciò mi mise di buon umore a causa dell’affetto che provavo nei suoi confronti.
Era una giornata soleggiata ma molto fredda, Natale era vicino, quindi c’erano poche persone ad assistere, e riuscii a trattenere meglio il nervosismo.
Vinsi facilmente e andai a stringere la mano all’avversario, un ragazzetto bruno e basso che non se la prese minimamente per la sconfitta.
Chris venne a congratularsi con me dandomi un’amichevole pacca sulla spalla.
– Domani è sabato, quindi stasera si festeggia! Ho una cosina speciale per divertirci.
Mi fece l’occhiolino.
– Ah, e questa è Julia.
Le strinsi la mano. – Piacere Julia, io sono Charlie.
– Ciao, Charlie, begli occhi.
Le sorrisi. – Grazie.
– Ti aspettiamo all’uscita da scuola, vai a lavarti che puzzi! – concluse Chris.
Salutai e andai negli spogliatoi per farmi la doccia. Insieme al sudore cercai di lavar via anche il senso di smarrimento che mi opprimeva, ma non ci riuscii.
Quella sera i miei andarono a teatro, e non sarebbero stati di ritorno prima dell’una di notte. Chris colse l’occasione al volo e mi chiese se lui e Julia sarebbero potuti venire da me per svagarsi un po’. Alan non avrebbe dato fastidio, senza contare che tra lui e Chris c’era un particolare rapporto basato su battutine a sfondo culturale, e Chris si divertiva tantissimo, nonostante la maggior parte delle volte ne uscisse sconfitto.
La sorpresina di cui mi parlava alla partita non era altro che tre bottigliette di vodka ancora chiuse.
– Ho pensato, – mi disse, – che se non hai niente da nascondere ti darai alla pazza gioia.
– Chris, non so…
Mi mise una mano sulla spalla. – Charlie, amico mio, quando i tuoi genitori saranno tornati, noi saremo già a casa nostra e tu a dormire come un sasso.
Alla fine mi convinse, e nonostante mio fratello iniziò a fare storie non appena vide la vodka, presto Chris lo fece tranquillizzare, iniziando così il loro consueto battibecco.
Io ne bevvi un sorso e poi iniziai a parlare con Julia.
– Come hai conosciuto Chris? – le chiesi.
– Oh, dev’essere successo in qualche piazza mentre teneva un comizio.
Strabuzzai gli occhi.
– Sto scherzando, scemo – rise lei.
Bevvi un altro sorso e un altro ancora. Avendo finito il bicchiere, chiesi a Chris di riempirmelo. Lui non se lo fece ripetere due volte.
Alan e il mio amico misero su il disco con il primo album di Little Richard e ciò mi indusse a scolarmi anche il secondo bicchiere di vodka.
– Ehi, vacci piano.
– Ma non ho niente da nascondere, come dice Chris.
– Chaaarlie, tuo fratello non sa qual è la capitale della Mongolia!
Scoppiai a ridere rumorosamente. – Ma nemmeno tu, Chris!
Venne vicino a me e mi versò altra vodka. – Questa sera non mi sfuggi, devi dirmi cos’hai che non va! Fattelo dire tu, Julia! Fatti dire da Charlie cos’ha che non va!
La ragazza mi guardò con aria interrogativa. – Che intende dire?
– Niente.
Bevvi anche il terzo bicchiere.
Chris me ne versò subito uno nuovo.
– Intendo dire – disse – che Charlie è molto chiuso negli ultimi tempi. E soprattutto non scrive più. Te l’avevo detto che scriveva? Sì, insomma, dovresti vedere le poesie e i racconti, sono molto belli, e ne ha scritti tantissimi! Solo che ora dice che ha smesso.
Sorseggiai il quarto bicchiere. – Non riesco più a scrivere perché vorrei scrivere troppe cose – mormorai.
– Questo a me l’hai già detto, amico – rispose Chris. – Quello che non mi hai detto è cosa vorresti scrivere. Sono sicuro che nella confusione della tua testa tu abbia delle idee ben fisse.
Alan ascoltava, in silenzio. Little Richard copriva i pensieri.
Mi versai da solo altra vodka. La testa mi girava ma ero in estasi, e a un passo dal rivelare le mie intenzioni.
– Voglio andarmene.
In quel momento si concluse la canzone di Little Richard.
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