"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

martedì 21 giugno 2011

Ottavo Capitolo

Parole che assomigliano troppo a coltelli

– Perché non guidare subito verso est? – mi chiese Chris.
Feci spallucce. – Mi interessa vedere Los Angeles, fa pur sempre parte del mio paese.
Non c’era una ragione precisa, e lo sapevo bene anch’io. Desideravo conoscere Los Angeles e osservare l’ingrandirsi della città, l’oscuramento dell’individuo per far spazio alla massa e alle trovate pubblicitarie.
Mi sembrava poi che l’uomo avesse bisogno di dar vita a società sempre più grandi, quasi si sentisse solo, o stupido. Avevo il timore che tali società potessero essere, un giorno neanche troppo lontano, il motivo stesso della caduta dell’umanità. Da ciò dedussi che tutti abbiamo l’apocalisse nel cuore in forme diverse; ad alcuni si presenta sotto forma di amore, ad altri sotto forma di odio, ad altri ancora non si presenta, ma ce l’hanno, e li consuma.
Ci fermammo a metà strada per versare nuova benzina nel serbatoio, poi ripartimmo con l’intenzione di evitare ulteriori soste.
Fu una sorpresa per me ritrovarmi sotto i fili e i cavi di Los Angeles che oscuravano il cielo e lo deturpavano. Ed ecco che mi rendevo conto di cos’era capace l’uomo se insieme ad altri uomini. Aveva la distruzione di tutto come obiettivo nascosto, invisibile anche a lui stesso.
Che belle che m’apparivano quelle città, che belle e terribili ai miei occhi!
Chris disse: – È grande.
Julia assentì con un «uhm» indeciso.
Ad ogni angolo cartelloni pubblicitari spuntavamo come funghi promuovendo ora questo ora quel prodotto. Le parole disegnate con colori vivaci dicevano «compra! compra! compra!» anche se non esplicitamente, e pesavano su di me come coltelli, perché io quasi mi sentivo obbligato a comprare, per far piacere a tutte quelle facce ritoccate, a quei sorrisi che sapevano di plastica, al semplice fatto che io in realtà non volevo comprare niente; ma forse pensavo che, comprando, quei volti sarebbero scomparsi, e i coltelli non mi avrebbero più sibilato attorno alle orecchie.
Chiesi a Chris di guidare.
– Perché?
– Non ce la faccio.
– Ma che hai? Sei pallido.
– Non ce la faccio.
– A fare che? Charlie!
– A guidare, non ce la faccio. Sono stanco.
Come potevo parlare mentre dentro la mia testa s’aggiravano farmaci, cosmetici, alimenti e Dio sa quant’altro?
Quando ci renderemo conto che il mondo che lasciamo ai nostri figli e ai figli dei nostri figli sarà solo pietra e cemento, cosa diremo? Cosa penseranno di noi? Come giustificheremo i grattacieli, le case, il grigio? E quando il cielo sarà così inquinato che i bambini dovranno uscire dagli edifici con le maschere antigas, allora cosa diremo? Quando non crescerà più un filo d’erba e le persone saranno solo tristi, non sorrideranno più, ammetteremo forse i nostri sbagli o negheremo tutto? Che mondo stiamo lasciando ai giovani, se non un mondo morto?
– Charlie, tutto bene? – mi chiese Julia.
– Questa è una domanda a cui è facile mentire e far credere agli altri che si è detta la verità. – risposi, tetro.
– Devi riposarti. – replicò lei.
Chris guidò la Ford per i viali trafficati di Los Angeles e dopo qualche minuto mi chiese dove di preciso stessimo andando.
– Direi che con quel poco che abbiamo guadagnato a San Diego possiamo permetterci un appartamento in periferia. E poi ho un’idea.
– Che idea?
– Potrei lavorare per un giornale.
Chris non rispose subito.
– Non torneremo presto a casa, vero?
– Io non ho intenzione di tornarci affatto, per ora. Siete liberi di tornare indietro, se volete. Vi lascio la macchina.
Il mio amico scosse la testa. – Sto provando in tutti i modi a capirti. Spero che un giorno qualcuno mi ricompenserà.
Mio malgrado, risi.
– Non faceva ridere! – protestò lui.
– Chris.
– Che c’è?
– Ti voglio bene. E ora cerca quell’appartamento.

Con pochi dollari riuscimmo ad affittare un appartamento di quattro stanze: due camere, un bagno e una cucina. La grandezza di queste stanze è inutile menzionarla.
Dopo aver cenato, mentre Julia, spossata dal viaggio, dormiva su uno dei tre letti, io e Chris andammo dal padrone di casa a chiedergli consigli per lavorare. Egli era un ometto basso e piegato su se stesso, nonostante non dimostrasse più di cinquant’anni. Ma era giovale e ci sorrideva con cordialità.
Io gli chiesi se c’era qualche giornale che avrebbe accettato persone giovani e gli assicurai che ero bravo a scrivere.
– Di questi tempi i giornali seguono le ideologie. Ti interessi di politica, ragazzo?
– Sono anarchico.
Chris mi guardò male e l’ometto si mise a ridere.
– Ah ah! Anarchico dici? C’è un giornale di quel tipo, un editore piccolo piccolo, ma che fa bene il suo lavoro. Potresti provare lì, di solito sono ben disposti verso menti giovani e creative.
Mi feci dare l’indirizzo e lo ringraziai, poi Chris mi disse che lui non sapeva cosa potesse fare, e che voleva pensarci ancora un po’.
Tornati nell’appartamento trovammo Julia seduta davanti alla finestra, con i gomiti appoggiato al davanzale che sostenevano la testa stanca. Era tutta tesa nell’ascoltare un pianoforte che veniva da fuori, da qualche altra casa.
– Già mi manca – disse, sentendoci entrare.
Guardai Chris con aria interrogativa ed egli mormorò che a casa Julia suonava il piano tutti i giorni da quando aveva sette anni, e che era bravissima.
Fui fulminato da un’idea, ma per il momento la tenni per me, anche perché richiedeva un certo tempo per essere attuata. Dissi a Julia che se avessi potuto le avrei fatto avere un pianoforte in quello stesso momento, ma lei scosse la testa e, dopo averci dato la buonanotte, tornò a letto.
– Sono stanco anch’io – dissi a Chris.
Egli annuì e mi chiese se gentilmente gli prestavo il mio blocco di appunti e una matita. Non capii perché me lo chiedesse, ma lo accontentai con piacere, poi andai a dormire.

La mattina mi svegliai all’alba e non riuscii più a riaddormentarmi, così mi alzai dal letto e andai in cucina. Trovai Chris addormentato sul mio blocco di fogli, così non potei vedere cosa ci aveva scritto.
Presi qualche dollaro e uscii a cercare un panificio per prendere alcune brioche e un po’ di latte per fare colazione. Quando fui di ritorno Chris era sveglio e si stava lavando faccia e denti in bagno.
Mi cadde l’occhio sul blocco di appunti e rimasi sbalordito: Chris non aveva scritto. Aveva disegnato. Sul foglio c’era raffigurata Julia stesa sul letto che dormiva beatamente. Ma il disegno era talmente reale e talmente bello, anche per essere stato opera di una sola matita, che il mio stupore fu moltiplicato per mille. E così ebbi la seconda idea.
Mi accostai alla porta del bagno e dissi a Chris che uscivo ancora a prendere una cosa. Mi recai dal padrone di casa e gli chiesi dove si potevano comprare dei pastelli a olio e un paio di tele per dipingere a buon prezzo. Egli m’indicò il negozio e ci andai praticamente di corsa.
Quando rientrai in casa con i pastelli e le tele, Julia e Chris stavano bevendo latte da due tazze fumanti, e Julia aveva gli occhi lucidi.
– Che cos’hai? – le chiesi.
Lei fece un cenno verso il disegno e subito compresi che era solo commossa.
– Lo so, è bellissimo – dissi.
Chris arrossì fino alla punta delle orecchie. Gli mostrai i pastelli e le tele.
– Non dovresti usare così i soldi – mi rimproverò, sebbene si vedesse lontano un miglio che era colmo di gratitudine.
– Dimentichi forse – risposi – che domani è il tuo compleanno?
Si alzò dalla sedia e mi abbracciò, poi Julia scoppiò in lacrime dalla commozione.

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