"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

lunedì 13 giugno 2011

Sesto Capitolo

Non esistono addii

Molte volte mi ero chiesto se avessi qualcosa che non andava. Tipo qualche rotella fuori posto. Ma l’unica volta che mi ero sentito pazzo nel senso stretto della parola risaliva a un anno prima, quando io e Chris ci eravamo fatti di LSD prima di una festa. Niente da dire, gli altri ci beccarono subito. Non penso che l’avrei rifatto nemmeno sotto pagamento.
A parte questo, non sapevo cosa potesse essere. Forse ero solo triste. Un sacco di persone nascono e crescono più malinconiche di altre. Tanti preferiscono l’inverno all’estate; se ne stanno appartati, col fiato sospeso, non parlano, trattengono il respiro per quella che sembra un’eternità. Perché amano il freddo, il silenzio.
Come me.

Perché scelsi quel sabato per andarmene?
C’era una festa a casa di un mio compagno di classe. Il tipo viveva in un posto enorme, ed era risaputo che i suoi genitori non fossero gente da intromettersi nelle feste dei ragazzi. Sarei andato in macchina (la vecchia Ford di mio padre), alla festa. E nel bel mezzo mi sarei allontanato con una scusa, poi sarei scomparso. Avevo preso dai miei abbastanza soldi da non farli arrabbiare e allo stesso tempo da non farmi morire di fame prima che avessi trovato un lavoro da qualche altra parte, per poi spostarmi ancora.
A quella festa bevvi poco, e cercai di fare ubriacare Chris. Decisi che era giunto il momento quando lui e Julia mi sembravano completamente partiti e gli altri invitati erano sufficientemente impallati per le canne che si stavano fumando.
Non li vidi muoversi quando dissi che sarei andato in bagno e invece pensavo di uscire dal retro. Perciò quando fui fuori, essi mi si affiancarono senza che io li vedessi e mi presero a braccetto e dissero in coro: – Dov’è che andiamo di bello?
Al che io rimasi sbalordito, e senza lasciarmi tempo per pensare, mi presero le chiavi e aprirono la macchina, quindi Julia si sedette dietro e Chris davanti, facendomi segno di mettermi al posto di guida.
– Voi… voi siete matti. Non possiamo… non possiamo! Cosa diranno i vostri genitori quando scopriranno cos’avete fatto, cosa… è già difficile per me senza che vi ci mettiate anche voi!
Chris rimase impassibile. – Charlie, dopo qualche giorno ti sarai stufato, e torneremo qui. Lo sai meglio di me. E ora sali, prima partiamo e prima torniamo.
– Non ho intenzione di tornare così presto – sibilai.
Il mio amico si fece ancora più serio. – E io non ho intenzione di lasciarti andare da solo. Julia ha deciso di seguirmi. Quindi andiamo tutti e tre.
Non mi rimase altro che salire in macchina, a metà tra l’intontito e l’emozionato, girare le chiavi e mettere in moto. Quando partii, Chris chiese:
– Dove ci porti?
A fanculo, avrei voluto rispondere. Invece dissi solo: – San Diego. Poi Los Angeles e dopo ancora New York.
Chris fece un fischio e Julia scoppiò a ridere. – Sembri tu quello che ha bevuto! – esclamò il mio amico.
In quel momento dovetti pensare che la vita fosse tutta una grande risata triste e felice allo stesso tempo, perché mi misi a ridere anch’io mentre guidavo fuori dalla città dove avevo vissuto i primi diciassette anni della mia vita.

Quando Chris decise di darmi il cambio alla guida, e m’addormentai, sognai che mio padre e mia madre s’erano messi nel mezzo della strada e io li avevo investiti e non ero potuto andarmene.
Mi svegliai piangendo e pieno di tristezza come non mai. Poi vidi il mio amico al mio fianco e la tristezza si dileguò, quasi fosse una nuvola e lui il sole. Una volta usciti dalla zona abitata viaggiammo per una decina di miglia verso nord per la strada deserta e ci fermammo che erano le quattro del mattino. Accostammo di poco fuori dalla corsia e dormimmo in macchina. Chris andò dietro e dormì abbracciato a Julia.
Io, avendo già dormito prima, non seguii il loro esempio, ma tirai fuori un blocco di fogli e una torcia elettrica e iniziai a scrivere. Scrissi fino all’alba, finché sorse il sole; quando, illuminando le facce dei miei amici, li svegliò. Poi proseguimmo per qualche ora fino a fermarci in una cittadina dove comprammo dei panini per pranzo.
Secondo Chris saremmo arrivati a San Diego verso sera, quindi evitammo altre soste per non dover dormire ancora una volta in mezzo alla strada.
Quando la città apparve, al tramonto, in lontananza sull’orizzonte, preceduta da un cartello malmesso che ne indicava la distanza, il mio cuore fece un balzo. A quell’ora i miei genitori si erano sicuramente accorti della mia assenza, e così anche quelli di Chris e di Julia. Era brutto dover rendere triste qualcuno. In quel caso però era anche necessario.
Mentre guidavo per le prime vie di San Diego, e i palazzi si avvicinavano sempre di più, il cielo era terso e il sole mi nascondeva la malinconia negli occhi, pensavo che ero fortunato ad essere vivo, a poter guidare, sentire il caldo, e il vento quando aprivo il finestrino, sentire Chris e Julia che parlavano, scambiandosi parole dolci, soffocate, ridenti.
Entrammo in città e il caos della metropoli ci avvolse in una stretta letale. Eppure sentivo su di me il peso – se di peso si può parlare – della libertà.
– Chris, – dissi, – grazie per essere venuto. E scusami se ti ho mentito. Sai che non avevo altra scelta.
Lui rise, e io fui felice.
Julia disse: – Io mi immagino quanto stiano urlando i miei genitori in questo momento. Però è bello essere qui. Insomma, quanto dureremo?
E rise anche lei.

Lasciammo la macchina fuori da un hotel e lì prendemmo una camera. La notte si avvicinava, ed eravamo stanchissimi. Quando fummo sistemati chiesi carta e penna e scrissi una lettera ai miei genitori:

Cara mamma e caro papà,
vi voglio bene. Forse dovrei chiudere qui, tutto quello che c’era da dire l’ho detto. Vi sto uccidendo, in un certo senso, lo so. Immaginarvi piangere di fronte a queste parole è devastante. Mi distrugge dentro. Vorrei che mi capiste, ma so che è impossibile. Ci tengo però a dirvi che io capisco voi, il vostro dolore. È quello che provo da qualche mese. Provo dolore per tutti e troppo poco per me. Io soffoco, gli altri sono felici, e questo me li fa compatire. Penserete che sia pazzo, ma è difficile da spiegare. Il mondo è triste, le persone anche, eppure le vedo nascondersi dietro maschere di felicità, di passività. Non si muovono, non si mettono in gioco. Perché? Io voglio provare, anche a costo di farvi del male. Voglio che sappiate che così lo faccio anche a me, non ne sono immune. Ma devo provare a vivere. A vivere veramente. E lì a casa non posso, così come non posso aspettare di essere più grande. Devo capire adesso, o non capirò mai più.
Chris e Julia sono con me, nel caso non l’aveste capito. Mi hanno accompagnato di loro spontanea volontà, io non volevo. È bello però essere circondati da persone così, davvero. Questa è una delle cose per cui mi piace vivere. L’altra più bella, credo, è lo scrivere. Continuerò a scrivere e a scrivervi, perché mi tiene vivo, e di morire non ho nessuna voglia.
Chiudo come ho aperto: vi voglio bene.



Un abbraccio,
Charlie.

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