"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

venerdì 8 luglio 2011

12° Capitolo

Immortale

L’uomo è nato con l’istinto di uccisione, è talmente radicato in lui che non so quale sia esistito prima, se l’uomo o l’omicidio come pensiero, come premeditazione di un oscuro acquietarsi , l’incertezza dell’atto che si vuole compiere o la sicurezza, la fede nella falsa bontà dell’azione che svolgono le nostre mani. E poi non è detto che ci sia una grande differenza tra morti e addolorati, quelli che muoiono veramente e quelli che non muoiono ma vivono con la morte nel cuore, è forse peggio che morire e non aprire più gli occhi, io ancora non lo so, non ne sono sicuro, ma me ne rendo conto quando faccio male a qualcuno con le mie azioni o con le mie parole, quando uccido in silenzio, la rivolta inesorabile degli omicidi che adottano metodi nuovi.
Io ero stufo di ferire stando zitto, muovendomi poco o niente, questo era il problema, appena facevo un passo, a qualcuno faceva male qualcosa, ne ero sicuro.
– Dove l’hai lasciata la tua famiglia, Charlie? – mi chiese Samuel, dopo appena un paio d’ore di viaggio in cui l’unica compagnia era stata la musica, Elvis in particolare.
A pascolare nei cambi come pecorelle smarrite.
– A casa; vivo, o forse è meglio dire vivevo, in una cittadina a sud di San Diego.
– E perché te ne sei andato? Oh, perdonami, mi sto impicciando degli affari tuoi.
– Non ti preoccupare, Samuel…
– Chiamami Sam.
– Bene, Sam, come stavo dicendo… me ne sono andato perché odiavo il senso di soffocamento che sentivo nella mia città, e avevo bisogno di levare le tende, ecco, il motivo è questo.
– Un motivo piuttosto strano.
– Che c’è di strano?
– Insomma, non avevi problemi coi tuoi genitori? Coi tuoi fratelli… hai fratelli?
– Un fratello.
– O con i tuoi amici? A scuola era tutto a posto, prendevi buoni voti?
– Certo.
– E allora? Qual è il tuo problema?
– Non è la prima volta che mi fanno questa domanda.
– Non era difficile immaginarlo.
– Solo che non so rispondere.
– Anche questo non era difficile immaginarlo.
Lo guardai: – Penserai che sia pazzo.
– Questa è una conclusione sensata, lo ammetto.
– Ma non lo sono.
– Permetti, anche se non ci conosciamo per niente o quasi, che abbia le mie riserve?
– Senz’altro.
– Ecco, e poi sei stato tu che mi hai suggerito di pensare che tu sia pazzo.
– Non devo averlo fatto intenzionalmente.
– Ma se me l’hai detto dieci secondi fa!
– Okay, chiudiamo la parentesi pazzia. Non sono matto. Ho semplicemente deciso di lasciare la mia casa e la mia famiglia, perché lì non ero a mio agio. Meglio così?
– E la ragazza non ce l’hai?
– A quanto pare no.
– Sei venuto fino a Los Angeles da solo?
– C’erano due amici con me, li ho lasciati lì.
– Consenzienti?
– No.
– Prevedibile.
Sospirai. – La strada è lunga, vero?
– Ti sto annoiando?
– No, è che…
– Okay, ti annoio.
– Ho detto che non mi annoi!
Non mi rispose, aspettò qualche minuto e poi mi chiese:
– Vuoi una sigaretta?
– Sì, grazie.
La gente lasciava andar via la malinconia del venerdì sera insieme al fumo della sigaretta. Un tiro e un po’ di malinconia se ne andava, così va nelle grandi città e anche in qualcuna di quelle più piccole, il venerdì si trascorre nella speranza di un sabato migliore.
Me la porse insieme all’accendino, io l’accesi e poi accesi la sua, che teneva fra i denti, cosicché non si distrasse più di tanto dalla guida.
Mi sembrava che il mondo si fosse ridotto al furgoncino, i momenti della giornata passavano lì, osservavo immobile e un po’ estasiato i minuti trascorrere – volare – e avrei voluto scri-vere, perché era l’unica cosa che sapessi fare e che avrei fatto volentieri, ma non c’era tregua da parte del tempo: egli avanzava, lento o veloce relativamente a chi lo misurava. Quando siamo felici, quando baciamo una ragazza o un ragazzo, quando siamo con qualcuno che amiamo, quel cazzo di tempo passa in istante, nemmeno ci si accorge che è passato, come se io fossi in strada con una bicicletta e lui mi passasse accanto con una moto e io non potessi raggiungerlo.
E invece nel momento più brutto della nostra vita – quello che crediamo sia il momento più brutto, ma in realtà è solo il più brutto fino a quel momento oppure ci siamo dimenticati di quanto siano stati brutti gli altri – il tempo è lì che palleggia in un campo da calcio, e non si sposta che di qualche metro ogni mezz’ora.
– Farà male fumare, – disse Sam dopo aver fatto un lungo tiro, – ma ci vuole quando si è nervosi.
– Eri nervoso?
– Non si vedeva?
Scossi la testa.
Sappiamo tutti fare qualcosa, ci siamo portati, nessuno è un fenomeno. Magari lui sa nascondere bene gli stati d’animo. Oh, se lo sapessero fare coloro a cui involontariamente faccio del male! Non li vedrei soffrire a causa mia!
– I tuoi amici ti cercheranno? – mi chiese Sam.
– Ci hanno rubato la macchina qualche giorno fa, non vedo come potrebbero.
– Ma secondo te c’è la possibilità che lo facciano?
– Oh, certo. Christopher sarebbe capace di andare in capo al mondo pur di trovarmi, e poi sa che sono diretto a New York.
– E allora non andare a New York.
– No, ci devo andare, e comunque non penso sia quella la mia meta.
– Tornerai mai a casa?
– Non ne ho la minima idea.
Se potessimo vedere il futuro, probabilmente non faremmo neanche la metà delle cose che intendiamo fare, perché la consapevolezza delle conseguenze ci devasterebbe, non riusci-remmo a muoverci, a fare un passo, saremmo come una mosca intrappolata in un edificio, una mosca che non sa che dall’altra parte di quell’edificio c’è una finestra aperta, ma preferisce continuare a sbattere contro il vetro di quella che ha davanti.

3 commenti:

  1. Hanno sempre un suono commovente le cose che si pensano, quando qualcuno le scrive e non sei tu. Ti fa pensare che certi pensieri siano di tutti. Ti fa sentire meno solo.

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  2. Ci si annoia sempre della propria vita, bisogna saper scegliere quando e come cambiare (non che io ci riesca).

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