"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

lunedì 25 luglio 2011

16° capitolo

La terra di tutti

Bianca Anderson chiuse a chiave la stanza dove mi misero, ovviamente.
C’era un letto singolo, le lenzuola rosse e la fodera del cuscino rossa. Un comodino di legno – per fortuna del suo colore naturale – stava alla destra del letto. Gli occhi mi caddero lì per prima cosa, perché la stanza non era molto grande. Era rettangolare e aveva una finestra sulla parete opposta alla porta, mentre il letto di cui ho già parlato poggiava alla parete sinistra.
Il rosso mi circondava, stringeva la sua presa. Soffocavo. Era come muoversi nel sangue, nel proprio e in quello di tutti gli abitanti del mondo. Li sentivi che bisbigliavano, e ti immaginavi la donna, Bianca, seduta comodamente su una pila di corpi, che ti guarda sorridendo, conscia di cose ben al di là della tua comprensione.
Ma il mio cervello stava delirando. Sono momenti strani quelli in cui, sospinti da immagini, suoni o parole, si segue un flusso di pensieri improbabile persino a noi, che sfocia poi in visioni astratte che vanno a mettere in dubbio la propria sanità mentale.
– Charlie!
Da dietro la porta venne la voce di Bianca Anderson.
– Ehmm… sì?
– Il bagno è alla tua destra.
Girai lo sguardo. C’era una porta rossa quasi irriconoscibile in mezzo al rosso della tappezzeria.
– Grazie per avermelo detto. Arguivo che fosse uno sgabuzzino.
– Il sarcasmo non viene premiato in questa casa, Charlie.
– Arguivo anche questo. E almeno in qualcosa ci ho azzeccato. Dovrebbe incoraggiare queste intuizioni, signorina.
Lei non rispose, e poco dopo sentii dei passi allontanarsi.
Sospirai.
Le donne!

Avevamo mangiato caviale e bevuto champagne. Quella donna era ricca sfondata, e io ero il suo giocattolo. Non mi aveva preso con sé per qualche oscuro scopo, no, era facile in-tuirlo. Probabilmente era psicologicamente turbata, o qualcosa di simile. Però era adorabile, e non riuscivo a togliermela dalla testa. Quel profumo! E quelle gambe, dannazione!
Il problema di quando sei adolescente è che ti sembra sempre di amare alla follia le persone, invece sono solo gli ormoni che girano all’impazzata. Tuttavia queste follie d’amore è impossibile evitarle. Del resto c’è anche il lato ironico: quando sei più grande, ripenserai a queste cose con un sorrisetto e con leggerezza, però ne riconoscerai l’importanza che hanno avuto nella formazione della tua persona.
E l’esperienza che derivò dal mio incontro con Bianca Anderson non l’avrei mai dimenticata, nemmeno se mi avessero pagato a peso d’oro per farlo.
Fatto sta che ero suo “prigioniero” ad interim, perché non avevo idea di quando avrebbe iniziato a giocare con me e di quando si sarebbe stufata di giocare. La sua mente ragionava come quella di un bambino, che desidera il nuovo gioco come se fosse la sua unica ragione di vita, e una volta ottenuto, se ne stanca ben presto. La domanda è: possibile che il giocattolo possa trarne qualche gioia? Possibile che voglia essere usato e se ne compiaccia? Io sì, ne ero felice.
Non c’è giustificazione alle azioni che si compiono in quello stato pietoso che è la condizione di innamoramento. E non perché si possono evitare, ma proprio perché sono inevitabili. Non ci sono scuse all’amore. Esiste; e a volte passa anche da te.
Da me ci passò come passano le tempeste. Sono distruttive e veloci. Sradicano gli alberi – le convinzioni – e la pioggia – le lacrime – bagna tutto, persino le case, che sono i rifugi delle persone e delle famiglie, ed è incredibile se ci si ferma un attimo a pensarci, che la pioggia bagna pure le case e anche se non entra è come se ci fosse entrata perché la malinconia si sente dentro, è una malattia contagiosa che non lascia scampo.
L’amore, al pari della malinconia, è capace di contagiare la terra di tutti. Impossibile dire se lo fa con cattiveria o no. Quanti disastri provoca, e quante anime ammazza. Magari il tuo corpo rimane vivo; scientificamente tu sei vivo. Ma l’amore, oh, l’amore ti ammazza da qualche altra parte che è qualcosa di più delicato e fragile del corpo e raramente si sopravvive a quella morte.
Passai la mia prima notte in quella casa completamente sveglio, o quasi. Temevo che se avessi dormito, l’incubo di Samuel mi avrebbe nuovamente fatto visita. Io l’avrei ucciso un’altra volta, e poi ancora un’altra, fino all’infinito, anche se in realtà non avevo fatto niente. Gli innocenti si sentono sempre colpevoli quando succede qualcosa di brutto. Chissà quanti anfratti della nostra mente non sono visitabili se non nel sonno. Dormendo riusciamo ad arrivare ovunque, a realizzare quei desideri che ci vergognano. Riusciamo persino a uccidere, nel sonno. Forse c’è proprio un mondo che s’attiva quando chiudiamo gli occhi. Non sarebbe sconvolgente? Forse nei sogni potevo tornare indietro da Chris e Julia, tornare da Wendy e dai miei genitori, dalla piccola Mary e dal signor Johnson. Forse potevo veramente. Il problema è quando ti svegli. Ti rendi conto che non era reale, ti disperi. Piangi.

– Buonanotte, Charlie.
Così venne a dirmi Bianca Anderson verso mezzanotte. Girò la chiave nella toppa e sporse la testa nella fessura. Vidi i suoi capelli biondi risplendere alla luce del corridoio fuori (io ero già al buio, ma non dormivo, come ho già detto) e il mio cuore fece un salto.
– Buonanotte, signora.
Scorsi un sorriso prima che richiudesse la porta.
Furono quelle labbra che si piegarono in su a farmi trascor-rere una notte sveglio. Che idiota, maledizione.
Ero proprio un idiota.
E così rimasi sdraiato sul letto, la finestra aperta, ad ascoltare i rumori della notte. Le litigate tra fidanzati, i rombi dei motori, le risate dei bambini, le squallide barzellette degli ubriachi. E mi chiedevo, cupo, se davvero la vita fosse tutta lì. Da innamorati ci sembra bellissima, ci sembra fondamentale. Ma cosa c’è da salvare a questo mondo se non gli occhi di certe persone?
Noi ci chiediamo perché siamo vivi, ma non sappiamo rispondere. Ci chiediamo perché moriamo, perché le persone che amiamo se ne vanno prima del tempo; e anche a questo non sappiamo rispondere. Ci chiediamo poi da dove venga l’attaccamento a qualcuno, come mai pensiamo di non poter sopravvivere senza vedere senza toccare senza accarezzare o baciare la nostra ragazza, il nostro ragazzo, nostra sorella o nostro fratello o i nostri genitori. A volte vorrei tatuarmi le loro iniziali sul braccio. Le iniziali di tutte le persone che amo. Così saranno sempre con me, ma per davvero. Perché Dio non esiste, o la seconda guerra mondiale non ci sarebbe stata. E se esiste dovrà chiedere perdono a tutti quei morti. Dovrà inginocchiarsi e chiedere scusa e ammettere che – se esiste – è stata tutta colpa sua.

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