"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

giovedì 28 luglio 2011

18° Capitolo

Frenesia di labbra

Trascorsero giorni in cui i miei unici problemi furono di avere un alito sempre fresco e un aspetto presentabile. Iniziava a crescermi la barba e implorai Thomas di procurarmi tutto l’occorrente per radermi senza che Bianca lo venisse a sapere. Ma naturalmente lei lo venne a sapere, o almeno così credetti io. Nei momenti in cui lei aveva i suoi momenti di dolcezza e appariva spensierata, io mi trovavo con la mente sotto un celeste cielo primaverile, qualche nuvola bianca che non oscurava il sole, un venticello fresco tra i capelli e canarini felici e cinguettanti sugli alberi. Poi succedeva che Bianca Anderson avesse una crisi isterica per una nullità, come un discorso di Kennedy o una gocciolina di condensa sul vetro della cucina, e allora io sparivo dalla sua vista, mentre Thomas rimaneva lì di fronte alla sua padrona a ricevere tutti gli insulti e i rimproveri a mancanze mai esistite.
Iniziai ad avere sogni impuri, ma da cui traevo sollievo nonostante dissacrassero l’immagine quasi divina che mi ero fatto di Bianca. Andavo da lei con un sorriso beato e idiota sulla faccia, e lei assaporava la sua vittoria in ogni sfumatura del mio volto, in ogni increspatura della fronte e luccichio degli occhi. Aveva senza dubbio un’innata capacità d’osservazione grazie alla quale nulla poteva sfuggirle, nemmeno il ticchettio nervoso di un’unghia sul legno del tavolo, in attesa della colazione o del pranzo o della cena o solo di una risposta.
– Charlie caro, non dovresti essere così impaziente – mi disse Bianca alludendo al movimento delle mie dita irrequiete.
– Non sono impaziente – replicai io, irritato. E impaziente.
– Sì, invece. Ti ho fatto chiamare da Thomas venti minuti fa ma la cena non è ancora arrivata. Chissà cosa stanno facendo al ristorante del secondo piano. Il cuoco è un omosessuale attivo, potrebbe aver trovato qualche nuovo garzone appetitoso.
Rise di una risata isterica. Io lanciai un’occhiata a Thomas carica di molteplici domande.
– Non ti preoccupare, tesoro, non ti manderò giù dal cuoco. Preferisco cucinarti io di persona!
Scoppiò in una risata ancor più isterica della precedente.
– Vedi, bambino mio, la vita di città a volte risulta lievemente stressante e si ripercuote sui comportamenti degli abitanti… Non devi sentirti imbarazzato davanti a certe espressioni o atti volti alla pura e semplice ricerca dell’ironia… Mi hai capito, Charlie? Stavo scherzando, tutto qui. Non dirmi che ti sei spaventato! Ah! Lo sapevo, avevi paura che ti mandassi dal cuoco! Lo sapevo!
Cercai di sorridere, intimorito da quel comportamento poco femminile, fermo restando che la sua figura non cessava un solo istante di emanare grazia e sensualità.
– Cos’è quell’espressione da cane bastonato, tesoro? Fai un bel sorriso, su! So che non è facile rimanere in questa casa senza mai uscire. Uno della tua età vuole divertirsi, credi che non lo sappia? Solo che è necessario, mi dispiace.
– La sua è una casa molto… ehmm… suggestiva, signora.
Lei sorrise. – Lo so, lo so. È bella, né? Ah! Scusami, devo avertelo già chiesto. Cos’avevi risposto?
– Niente, signora.
– Bugiardo. Tu menti troppo, Charlie caro. Avevi risposto che assomigliava all’inferno, dico bene?
Mi agitai sulla sedia, a disagio. – Suppongo di sì, signora.
– Tu supponi di sì, Charlie? Non si dicono le bugie alla zia Bianca.
Non riuscii a trattenere il sarcasmo: – Lei è mia zia, signora?
Fece un mezzo sorriso gelido. Ebbi terrore di quegli occhi saturi di una malignità glaciale e impenetrabile.
Non mi piace quando scherzi, Charlie.
Tacqui, desolato.
– Per quanto ancora mi terrà qui? – provai a chiederle, distrutto dal dolore per tanta freddezza da parte della donna che amavo.
Il necessario, Charlie. Il necessario.
Sospirai.
Qualcuno suonò il campanello e subito Thomas si mosse verso la porta. L’aprì e uscì due secondi, giusto il tempo di prendere i vassoi dalle mani del cameriere.
– Visto? – fece Bianca. – La cena è finalmente arrivata. Non c’era bisogno di preoccuparsi o di fare gli impazienti.
Gettai uno sguardo fuori dalla grande finestra del salotto: era una giornata plumbea con un’atmosfera di fondo piuttosto cupa. Erano le sette e mezza di sera e non era ancora scesa la notte, ma già il lampadario era acceso e donava un’aria di austerità a Bianca Anderson, la cui vestaglia da notte (si preparava per dormire ben prima di cenare) – rosso carminio – riluceva abbagliante e in perfetta sintonia con l’ambiente.
Si sarebbe detto, a primo acchito, che quella donna era ascesa dagli inferi dove sedeva alla destra di Satana solo per tormentarmi e farmi innamorare di lei, incatenandomi in un amore senza uscita che, credevo allora, solo la morte avrebbe potuto spezzare e rendere cenere, com’è giusto che sia un amore impossibile e in un certo senso scandaloso, proprio come quello che si proponeva di diventare il mio.
Dopo mangiato io dissi che dovevo andare in bagno, mentre intendevo lavarmi i denti. Non m’importava che lei non li lavasse e che non avesse un alito sopportabile in un bacio, volevo solo quel bacio e nient’altro.
Tornai dal bagno cercando di controllare l’espressione facciale e la respirazione. Tenni lo sguardo fisso sul piatto mentre Thomas diligentemente sparecchiava senza spiccar parola. Bianca riprese in mano il Times di quel mattino che probabil-mente aveva già riletto due o tre volte, e disse alla guardia del corpo che voleva un liquore forte per digerire la lauta cena.
– Whisky con soda, signora?
– Liscio.
– Posso averne un goccio anch’io? – azzardai.
Lei mi guardò seria. – Non è bene che un giovane della tua età comprometta la sua salute con certe schifezze.
Allora cercai di giocare d’astuzia. – Ma signora, non è nemmeno bene che una donna bella come lei comprometta la sua di salute, non trova?
Funzionò, o forse lo fece funzionare lei.
– Bambino mio, ma come sei dolce! Te l’ho già detto che sei carino, eh? Te l’ho già detto? Comunque non preoccuparti per me, la mia salute non è importante quanto la tua. E di sicuro non sono così bella come pensi.
– Oh, ma ora fa la finta modesta! – esclamai, viscido.
– E tu il finto adulatore.
Questa risposta mi raggelò, ma presto il suo viso tornò a di-stendersi sereno. – Scusami, – disse, – non volevo essere scortese ai tuoi complimenti.
A quello scambio di battute seguì un periodo di relativa calma durante il quale venni colpito dal ricordo del viaggio che stavo compiendo prima di incontrare Bianca Anderson, e del motivo per cui avevo intrapreso quel viaggio. L’amore era stato capace di farmi dimenticare perfino il senso di soffocamento che provavo in California, a casa.
– Non lo è stata – dissi dopo un po’.
Lei mi guardò impassibile.
– Scortese, intendo.
Thomas portò il bicchierino di whisky liscio a Bianca e lei lo bevve tutto d’un fiato senza mai staccare le labbra dal vetro.
Cercai di rincarare la dose: – Le fa male berlo così, signora.
– Mi fa male! – buttò la testa all’indietro e rise nuovamente. – Thomas, un altro per favore.
Persino la guardia del corpo la guardò strano, ma non replicò e obbedì.
Bianca disse: – Lo sai, Charlie, cos’ha detto quel… brav’uomo di Kennedy al Times giusto l’altro ieri? Lo sai, eh?
– No, signora… non le ho mai chiesto di farmi leggere il Times.
Sorrise. – Però chiedi di leggere libri. Comunque, non diva-ghiamo. Kennedy ha detto che il posto giusto per rendere credibile la nostra potenza è il Vietnam.
Feci spallucce.
– Te lo dico io, tesoro, questa storia finirà male. Non s’è mai sentito di un paese che ha bisogno di una guerra per dimostrare la sua credibilità.
– Signora, – protestai – in Vietnam non c’è nessuna guerra.
– Non ancora – rispose lei. – Staremo a vedere in che modo andranno le cose. Male, come ho già detto, ma staremo a vede-re.
Si sporse verso di me.
Il profumo.
– Il fatto è, Charlie caro, che sento puzza di imbroglio. Kennedy fa il moralista alla nazione quando il primo che dovrebbe ricevere lezioni di morale, è lui.
Thomas le porse il bicchierino di whisky e lei lo prese senza nemmeno guardare. Quindi lo svuotò come il precedente.
– Comprendi?
– Sì, signora.
– E allora, dico io, certe volte mi viene proprio il nervoso a sentire quel suo fiume di parole ricolmo di falsità. Ma quel tipo fa fesse un sacco di persone, tra cui ci sei anche tu. Dico bene, Charlie?
– Uhm, suppongo di sì.
– Tu supponi sempre, Charlie. Devi supporre meno ed essere più sicuro delle tue opinioni.
Bianca si alzò e prese un pacchetto di sigarette da un mobile. L’accese e iniziò a fumare, rilassata.
– Signora, – disse Thomas, – Se non le dispiace, io uscirei.
Bianca lo guardò. – Vai, Thomas. Sai benissimo che il nostro contratto non prevedeva la notte. Non ho bisogno di essere protetta quando calano le tenebre.
L’omaccione uscì e chiuse le porta.
Ecco perché non c’è mai di notte, pensai io.
Bianca fumò in silenzio la sua sigaretta, e io non la interruppi. Quando ebbe finito gettò il mozzicone nel posacenere e mi guardò attentamente.
– Charlie, Charlie. Andiamo male, sai? Lo vedo come mi fissi.
Deglutii. – Non vorrei rovinarle la bellezza con il mio sguardo – sdrammatizzai.
Assunse un’espressione delusa. – Charlie, cosa ti ho detto prima?
Non le piace quando scherzo, qualcosa di simile.
– Esatto – annuì. – Proprio così.
Non replicai e mi persi per l’ennesima volta nella miriade di pensieri che insistenti si facevano largo nella mia testa, cercando di spodestare l’amore. L’amore! Se si fermasse alle carezze, a una dolcezza di sguardi e basta, forse allora l’amore non rovinerebbe vite intere e non diventerebbe perverso. Ma siamo animali, e come tali ci comportiamo. Sentiamo il bisogno di un contatto fisico più profondo, e ci tormentiamo se impossibilitati ad ottenerlo. Avevo davanti a me una donna bellissima che come minimo aveva trent’anni, tredici più di me. Io ne avrei compiuti diciotto il mese successivo.
La osservai in attesa.
Lei guardò l’orologio. – S’è fatto tardi, bambino mio. È meglio se vai a nanna. Prima me lo dai il bacino della buonanotte, vero?
Sorrisi imbarazzato, mi alzai e mi chinai sulla sua guancia. Il profumo m’invase ed ebbi un istante di capogiro. Le scoccai un frettoloso bacio sulla pelle morbida e mi scostai, intimorito dalla possibilità che volesse ridurmi in cenere.
– Buonanotte – disse lei. – Sogni d’oro.
– Buonanotte – replicai, piano.
Poi, quando fui in camera mia, sussurrai ancora: – Buonanotte.

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