"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

domenica 17 luglio 2011

13° Capitolo

Samuel

– Verso mezzogiorno saremo a Las Vegas – disse Sam.
Annuii. – Ho sentito dire che è destinata a diventare la capitale del divertimento, in un certo senso.
Samuel fece spallucce. – Può darsi, per ora non è male, ma niente a che vedere con le altri grandi città.
Niente a che vedere con la vita frenetica, con io raduni enormi dove gli amici ti facevano conoscere i loro amici e gli amici degli amici, si era in cinquanta, in ottanta, le compagnie e i pomeriggi d’estate, le due cose più belle della vita dei giovani.
A volte neghiamo di essere vittime delle età, pensiamo di poter sfuggire alle cotte adolescenziali, alla silenziosa scoperta dell’altro sesso, consapevole, temuta e voluta, ai fiumi di lacrime che si versano quando gli amici non ci invitano da qualche parte e si divertono – senza di noi –, facile divertirsi, pensiamo, quando manchiamo noi, quale egoismo, non vogliamo divertirci con gli altri, pretendiamo che gli altri si divertano con noi.
Avrei voluto che Chris fosse lì con me, anche solo per chiedergli scusa. Naturalmente mi avrebbe perdonato. Quante volte abusiamo della bontà degli amici! Come quando insistiamo – fino ad ottenere – di pagare una cena o qualcos’altro agli amici, non lo facciamo per eccesso di altruismo o perché li amiamo a tal punto da pagare le cose che normalmente si pagherebbero loro, ma lo facciamo per noi, solo per noi, per sentirci dire che siamo belle persone, generose e gentili. Invece siamo terribilmente egoisti, questa è la verità. Un po’ mi deprime, ma certe cose non si possono cambiare, ci sono e basta.

Io e Samuel arrivammo a Las Vegas a mezzogiorno e dieci. Mi chiese se mi andava una pizza e io risposi di sì.
– Ce li hai i soldi?
– Come?
– I soldi per la pizza. Ce li hai?
– Non ti preoccupare per i soldi, ne ho abbastanza per pagarmi quante pizze voglio da qui a New York e ritorno.
Si mise due dita in bocca e fischiò. Fischiava niente male, devo dire.
– Hey, – gli dissi, – mi sembri un tipo a posto, ma bisogna che te lo dica. Tu provaci solo a fottermi qualcosa, e poi ti sistemo io.
Ti sistemo io è un modo perfetto per dire quel genere di cose. Lascia spazio a molti sottintesi. Io adoravo i sottintesi, met-tevano molta più paura che i riferimenti espliciti. Io ero una persona molto pacifica, ma ora ero solo, e nonostante l’età del mio accompagnatore, non si poteva dire chi l’avrebbe avuta vinta, anche perché ero molto ben piantato come fisico, grazie soprattutto agli allenamenti di tennis.
Lui sorrise e disse: – Non ti preoccupare amico, non ti fotto niente.
Prendemmo quella pizza nel ristorante di un hotel nel centro della città, di cui ora ho scordato il nome. Las Vegas aveva quell’aria da paradiso fasullo. Nel senso che sembrava tutto così maledettamente perfetto, ma si capiva che in realtà niente lo era. Sembrava di essere immersi in un oceano di falsità, i sorrisi dei camerieri, i visetti carini carini delle ragazze che, sedute da sole ai tavoli fumavano come ciminiere per farsi abbordare o forse no, non lo so, si è capito che non ero il massimo con le ragazze. Ma non ero brutto, ripugnante o altro, nient’affatto, solo che mi facevo un sacco di complessi e non riuscivo a spiccare parola con nessun esemplare del gentil sesso che mi interessasse abbastanza da rivolgerle due o tre parole. Ed ere già raro che incontrassi qualche ragazza interessante, per lo più, quelle che vedevo, se ne stavano sedute con le gambe accavallate a fumare – come ho già detto – peggio che ciminiere.
Samuel mi chiese se avevo voglia di bere qualcosa di forte, così lui l’avrebbe ordinata al mio posto. Lui però non avrebbe bevuto, così disse, perché se beveva finiva per non vederci più e poi chi avrebbe guidato fino a Denver
In altre occasioni avrei detto di sì, soprattutto se fossi stato con Chris; lui che sembrava più grande della sua età avrebbe tentato di ordinare degli alcolici. Ma lì era diverso. Ero con un ragazzo di molti anni più grande che conoscevo appena, e se avessi bevuto così tanto per bere, mi sarei depresso un sacco.
– No, grazie.
– Come vuoi.
Pagammo le pizze e facemmo un giretto per Las Vegas ad osservare quei posti dove si giocava d’azzardo e si sperperavano i patrimoni – intere esistenze, ma ben presto ci annoiammo (non potendo spendere chissà che, almeno lui) e ritornammo al camioncino giallo. Visto così, fermo e parcheggiato, mi sembrò davvero brutto. Un colore che odiavo, il giallo.
Samuel mi fece sedere al posto di fianco al conducente, poi decise che preferiva guidare da lì fino a Denver senza soste – se non quelle per riposare – e tornò indietro per cercare un posto dove vendessero dei panini con prosciutto e formaggio.
– Senza formaggio, per me – gli dissi, e lui mi guardò storto, ma non disse niente.

Qui inizia un periodo delle mie vicissitudini differente da quanto sopra raccontato. Più avanti negli anni, quando ebbi modo di valutare con occhio più critico quanto accaduto, giunsi alla conclusione che ciò che successe fu frutto del caso, che per poco non mi volle morto.

Fu quando avevamo fatto altre cinque o sei ore di viaggio che successe il dramma. Almeno, per me fu decisamente drammatico, perché ogni persona che conosco e con cui parlo, è come un pezzettino minuscolo di quello che sono, e io la reputo preziosa. E questa volta non era egoismo. Io reputavo – e reputo ancor oggi – le persone, generalmente parlando, come parte importante della vita di qualcuno. Certo, al centro del nostro mondo ci siamo sempre noi, ma non ci sarebbe un mondo senza le persone.
Ci eravamo fermati per mangiare i panini e dormire un po’ prima di riprendere il viaggio che si sarebbe protratto per buona parte della notte. Avevamo parcheggiato il furgoncino giallo a bordo strada, mezzo dentro alla terra desertica che caratterizza buona parte dell’America occidentale. Sam si era sparato due panini e dove aveva tirato fuori una canna. Si era messo quindi a fumare in santa pace, mentre io potevo finalmente scrivere qualcosa alla debole luce interna del nostro mezzo di trasporto. Quel giorno la luna era ancora piena, e la strada risultava ampiamente illuminata. La luce della luna avrebbe dovuto fare la differenza, ma non la fece. Non sarebbe cambiato nulla se ci fosse stata la luna nuova.
Alla radio ora cantava un artista di colore di cui ora non ricordo il nome. Ma era bravo, un jazzista proprio niente male. Non conoscendo le note delle sue canzoni – tanto più che nel jazz l’improvvisazione gioca la sua parte –, non mi risultava fastidioso ai fini della mia attività.
Forse fu proprio a causa della musica che non lo sentimmo. O forse, invece, bisogna considerare che i disperati, quando vogliono, non fanno rumore, soprattutto se ciò li può condurre più facilmente al loro scopo.
Samuel aveva un’aria rilassata, sul volto quell’espressione distesa e neanche minimamente preoccupata che l’erba è capace di trasmetterti. I capelli biondo cenere, un po’ sudati per il caldo e la guida, gli si erano appiccicati alla fronte. Probabilmente si radeva spesso e non avrebbe potuto farlo fino a Denver, perché, rispetto al giorno prima, si notava una certa crescita di peluria sul mento e sulla faccia.
Insomma, uno in un momento del genere si aspetta tutto fuorché quello che accadde. Credo che avrei potuto evitarlo, se fossi stato più grande – o più coraggioso –, ma in quella situa-zione non fui capace di fare nulla a vantaggio di Samuel. Successe tutto così in fretta.
Qualcuno bussò alla portiera del conducente. Sam mi guardò perplesso, mi passò la canna – ne approfittai per fare un tiro – e aprì la portiera. Il momento dopo non era più sul camion. Qualcuno l’aveva preso per la camicia azzurra e tirato giù di forza. Aprii la mia portiera mentre sentivo più colpì secchi con-tro qualcosa, che si mischiava alle urla di dolore del mio com-pagno di viaggio.
Feci il giro del camioncino. Le urla non avevano già più nulla di umano, le ricordo bene in quei due o tre secondi in cui non vedevo ancora nulla. Erano urla già soffocate, come se Sam stesse tentando di gridare con dell’acqua in gola.
Quello che vidi dalla parte opposta, per poco non mi fece svenire. Samuel era a terra in una pozza di sangue, la testa era irriconoscibile, spacca a metà. Gli occhi non si vedevano più, c’era sangue ovunque e il ragazzo era palesemente morto.
In piedi di fianco a lui stava un uomo vestito di stracci, che non riuscivo a vedere bene in viso a causa dell’oscurità. In mano teneva una lunga spranga di ferro. Quello mi si avvicinò ma io inizia a correre verso la strada. Il colpo che avrebbe dovuto colpirmi la testa, finì poi molto più in basso (probabilmente si era accorto che non sarebbe riuscito a raggiungermi là in alto), sulla caviglia sinistra, azzoppandomi.
Il dolore che provai in quel momento non è paragonabile a nessun altro dolore che avevo provato prima e che provai in seguito. La vista mi si oscurò, nella mia visuale comparvero tanti puntini luccicanti e pulsanti, ed ad ogni pulsazione io lanciavo un urlo sempre più forte.
Non so come, ma mi rimisi subito in piedi. Su una gamba sola. Sapevo che quel bastardo mi avrebbe ucciso esattamente come aveva appena ucciso Sam se fossi rimasto a terra. Così mi misi a saltellare disperatamente sulla gamba destra – Cristo, per fortuna era la destra – al limite della strada. Nel frattempo pensai a due cose: primo che non avevo mezzo dollaro con me, secondo che odiavo a morte quelle strade perché non ci passava mai nessuno.
L’uomo non mi venne dietro. Almeno, fece qualche passo poi lasciò perdere, sentii benissimo che aveva smesso di se-guirmi. Allora mi voltai e lo vidi barcollare verso il furgoncino: doveva essere ubriaco fradicio per muoversi in quel modo.
Temetti che avrebbe tentato di investirmi. Cambiai direzione – il dolore! – e tornai a dirigermi verso la terra desertica alla mia destra. Quello accese il motore. Io raggiunsi un arbusto e mi ci acquattai dietro. Anche se mi aveva visto, non lo diede a intendere, perché fece partire il camion e lo riportò subito in strada. Appoggiai la testa a terra e lì rimasi, vinto dal dolore.
Svenni mentre sentivo le prime lacrime bagnarmi le guance.

3 commenti:

  1. Oddio non me lo aspettavo uno sviluppo così! :O

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  2. Appunti per sfaccendati. Quando e sei farai una revisione di quanto scritto per pubblicarlo in qualche modo, allunga le descrizioni dei luoghi toccati. Dovessi anche riempirle di dettagli totalmente inesistenti (inesistenti ma credibili) aumenterebbero il fattore realismo.

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  3. CI sarà una revisione, alla fine, prima di rendere disponibile un PDF gratuito. Ovviamente lo riuarderò tutto da cima a fondo e ritoccherò laddove ci sarà bisogno :)

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