"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

giovedì 28 luglio 2011

19° Capitolo

Si soffoca sempre

Le notti erano insonni o, come direbbe un dannato prete, impure. Viaggiavo tra le stelle e tentavo di afferrarle con frustrazione, le volevo per me con l’intento di governarle, dar loro un nome e abitarle contemporaneamente, nell’eccesso di potere che un ragazzo prova da innamorato o da arrabbiato, credevo di poter dominare l’universo, piegare le galassie al mio cospetto e urlare nel vuoto chiedendo atterrito, spaventato, da dove mai venissero le lacrime di gioia, se quando uno piange è quasi sempre triste.
Un coro di stelle avrebbe potuto dirmi: – Vuoi l’universo, Charlie? L’intero universo con tutte le stelle e i pianeti e i buchi neri e gli asteroidi e le nebulose e tutto il resto? Lo vuoi davvero?
Avrei risposto: – Sì, lo voglio.
– Perché? Perché lo vuoi? Sapete dire solo “voglio”, voi esseri umani?
La risposta a una domanda del genere è così palese che restare in silenzio è, in casi come questo, la cosa migliore da fare. Toglie un po’ di vergogna all’ammissione e spazza via il timore di sentir la propria voce tentennare a metà sillaba, lascia un po’ di respiro ai pensieri offuscati, il cervello lavora a pieno ritmo sempre, ma collegare le parole tra loro in frasi compiute e donare un filo logico al discorso è un lavoro non retribuito e assai più arduo che utilizzare termini in voga o semplificati come quelli che usano e le nuove generazioni dopo averli forgiati esse stesse.
Io non riuscivo a focalizzare la mente su un solo pensiero, tranne quando, ovviamente, si trattava del profumo di Bianca Anderson. Chi si sente infinito a volte si stupisce, ma la verità è che non c’è niente di strano nel sentirsi capace di abbracciare il mondo. L’infinito è nella nostra mente, e chi non la usa se non in particolari eccezioni continuerà a credere che sentirsi infinito è una rara capacità innata.

– Signora, posso scrivere delle lettere?
Vidi il volto di Bianca Anderson trasformarsi in una maschera di cartapesta accecata dall’ira.
Lettere, Charlie? Lettere?
– Uh… ehm… sì, lettere… quelle cose di carta che si spediscono a…
NON MI PIACE CHE TU SCHERZI CON ME, CHARLIE!
La mia adorata donna in rosso di nome Bianca aveva alzato notevolmente la voce. Un brivido mi percorse la spina dorsale. Thomas era andato a prenderle il Times e la colazione, e io aspettavo insieme a lei.
– Niente lettere. – feci io.
ESATTO, CHARLIE. NIENTE LETTERE!
– Mi… mi scusi.
Sembro rilassarsi all’improvviso. – Oh, no, devi scusami tu. Ogni tanto mi capita di esagerare. Da quanto sei qui, bambino mio? Una settimana.
– Due settimane, signora.
– Oh, e ti piace stare qui?
– Da matti.
Sorrise sadica. – Da matti, signora.
Risposi al sorriso, esasperato. – Da matti, signora.
Mi ignorò: – A chi intendevi scrivere quelle lettere, eh Charlie? A chi cazzo intendevi scriverle? Lo voglio sapere. Se io ti chiedo una cosa tu devi dirmela, lo sai vero, bambino mio?
– Volevo scrivere a mia cugina, signora.
– È bella, tua cugina?
– Molto, signora.
– Come me?
– No, signora.
– Io sono più bella?
– Lei è molto più bella, signora. Lei è bellissima.
Scoppiò in una risata pulita, vera.
Si sporse dalla sedia, accostò il suo viso al mio.
– Sei carino, Charlie.
– Me l’ha già detto, signora. Due volte.
– Davvero?
– Sì.
– Poco importa. Ti piacerebbe baciarmi, Charlie?
Risposi senza esitare. Avevo le stelle in mano. Mi obbedivano.
– Molto, signora.
– E allora perché non lo fai?
Non mi diedi la pena di risponderle e appoggiai le mie labbra alle sue, delicatamente, come se volessi dimostrarle che fare le cose dolcemente è possibile sempre.
Lei rispose al bacio con furia, portò la mano destra dietro la mia testa e mi strinse i capelli, io le accarezzai la guancia e tentai di calmarla. Un po’ ci riuscii, si tranquillizzò e smise di mordermi le labbra.
Si staccò di un millimetro, quel tanto che bastava per parlare.
– Sono sempre così ordinati? – mi chiese.
Immaginai alludesse ai miei capelli. – Sempre.
– Posso spettinarteli?
– Puoi spettinarmeli.
Fu la prima volta che le diedi del tu.
Continuammo a baciarci fino a che non sentimmo i passi di Thomas in corridoio che portava il Times e la colazione.
– Sei bravo, Charlie. – mi sussurrò Bianca. – Mai stai attento, perché anche i migliori, a volte, possono cadere.

***

Quella sera stessa, mentre ero in camera, Bianca venne a dirmi che mi avrebbe fatto uscire da quell’appartamento, da quel grattacielo.
– Andiamo al cinema.
– Che film?
Colazione da Tiffany.
Con voce carica di sottintesi risposi: – L’abbiamo già fatta, la colazione. Ricevetti in risposta una risata. Iniziavo a diventarne dipendente.
Ne volevo di più. Volevo tutta Bianca, tutto il corpo, tutta l’anima. Se c’era qualcosa che potesse renderla mia per sempre, l’avrei fatto. Allo stesso tempo ne rifuggivo, ne ero impaurito, stavo sperimentando una nuova droga e temevo con tutto me stesso di assuefarmi a essa troppo in fretta e irrimediabilmente.
Andammo al cinema e io per strada assaporai nuovamente l’aria, anche se si trattava di quella di giugno. Rimasi per tutto il tempo fra Thomas e Bianca. Quest’ultima, a quanto pare, non si fidava ancora di me, e non riuscendo a contemplare una mia ipotetica fuga, mi faceva tenere d’occhio dalla guardia del corpo.
Quando il film iniziò avvicinai timidamente la mia mano a quella di Bianca, e gliela accarezzai piano. Lei non si mosse, non diede cesse di aver sentito il mio affetto. Guardava lo schermo, così mi concentrai anch’io sul film, ma era un film orribile. O forse lo giudico orribile solo perché tutto ciò che ricordo di quella sera è la mia mano sopra quella di Bianca. Usciti dal cinema successe la prima cosa che turbò sul nascere il mio rapporto con lei.
Credetti di vedere Wendy, ma non potevo esserne sicuro perché quella ragazza mi stava dando le spalle. Ciò bastò a sconvolgermi l’animo e riempirmi di sensi di colpa. Me n’ero andato da Chris e Julia con la scusa di dover trovare me stesso, e invece mi stavo perdendo.
Un osservatore esterno avrebbe detto che ero già perso. Alla mattina, allo specchio, faticavo a riconoscermi. Ripresi a scrivere, ma stracciai tutto, disgustato dall’orrenda scrittura che non potevo evitare di usare.
Basta, mi dissi. Basta basta basta.
Così come la stella più luminosa di un gruppo di stelle è quella che ci balza all’occhio per prima, allo stesso modo le persone a cui teniamo di più, anche se sono lontanissime, sono le sole a cui pensiamo ogni mattina appena svegli.

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