"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

mercoledì 27 luglio 2011

17° Capitolo

Sento i fuochi d’artificio, non le farfalle

Ci sono giornate che potremmo trascorrere distesi su un pavimento ad aspettare che accada qualcosa pur sapendo che invece non accadrà nulla. Oppure si hanno tanti di quei pensieri nella testa, che muoversi diviene impossibile. Quelli che vivono meglio sono quelli che non si fanno troppi problemi. Capita invece di essere subissati di domande nella nostra testa, domande scaturite da immagini a volte stupide a volte irrilevanti. Questa era la mia condanna. Questa era la condanna del mio essere scrittore. Chiudevo gli occhi e davanti a me si materializzavano centinaia di cose tutte insieme. Mi facevano impazzire sia di gioia che di terrore. Era bello poter spaziare per tutto l’universo con la mente, ma c’era anche da considerare il fattore paralisi fisica. E le immagini comparivano anche con gli occhi aperti. Bastava fissare il soffitto per un po’ di tempo ed eccole lì, chiare e nitide come se fossero reali.

Per passare il tempo chiesi a Bianca se avesse dei libri, ma lei mi rispose che non ne leggeva. Disse però che potevo chiedere a Thomas di andarli a comprare per me. Tutti quelli che volevo. Dissi alla guardia del corpo di prendere quelli che preferiva, di sceglierli a caso insomma. L’importante è che mi portasse qualcosa da leggere. Nel frattempo rilessi uno dei frammenti del mio vecchio libro che avevo lasciato a Chris e Julia.

Immaginate un luogo immenso dove non c’è una fine, in cui l’orizzonte non si riesce a vedere, perché non c’è e perché non vogliamo che ci sia, del resto lo stiamo immaginando; e poi provate a pensare che questo posto dopotutto esiste, la nostra mente esiste, lei lo ha immaginato, lei gli ha dato vita, e noi possiamo vederlo, solo che invece che fuori è dentro, ma c’è, insieme a tutto il resto che ogni giorno pensiamo e scartiamo e anche quello che teniamo e quello che releghiamo sullo sfondo per paura, per vergogna, mai per onore, quello emerge sempre, diviene linguaggio, parola, sguardo, azione e monumento, come chi si ritiene talmente grande da pretendere statue per sé anziché lasciar che altri ne erigano in suo favore. Se i pensieri di tutti gli uomini e di tutte le donne si unissero, ne uscirebbe il mondo proprio com’è ora, e forse ancor più noioso. Se invece fossero i pensieri dei bambini e dei ragazzi a unirsi, nascerebbero mille e più mondi, tutti diversi fra loro, tutti nuovi e tutti meravigliosi. E forse, con un po’ di fortuna, tutti in pace.
Questa è la storia di una famiglia la cui vita non è mai stata in pace e, nel momento in cui questa fantomatica pace è finalmente comparsa, la famiglia s’è rotta, incapace di rimanere in silenzio per più di qualche minuto.

Girai il foglietto stropicciato e vi scrissi sopra: cazzate. Non c’è pensiero che abbia senso. La vita è triste e l’amore la rende ancora più triste. Non c’è nient’altro. Mi manca Chris.

Il giorno dopo il mio arrivo a Denver, grazie alla luce del giorno, potei conoscere la vista che mi proponeva la finestra della mia stanza: grattacieli grattacieli e grattacieli. Ecco il mondo degli adulti. Non volevo crescere. Per niente. Il Peter Pan di Barrie l’avevo già letto, ma era solo un libro, e io ero solo un ragazzo che cresceva negli anni ’60 e si rendeva conto, mano a mano che i soldati americani arrivavano in Vietnam, che il mondo era destinato all’oblio. Forse cent’anni più tardi, forse duecento, ma non c’era salvezza. E chi dice che cose come l’amore possono ancora salvarlo, non ne capisce niente e non ha sofferto come ho sofferto io. Avevo visto una persona morire e subito dopo mi ero innamorato di una donna, dimenticando tutto. Persone che prima occupavano la mia giornata attraverso i ricordi, giacevano ora sul pavimento al mio fianco, e strisciavano verso la finestra per buttarsi di sotto.
Quando andavo in salotto, c’era sempre la televisione accesa. Kennedy parlava dall’alto trono del suo moralismo e tutto quello che potevo fare, ammaliato com’ero, era credergli parola per parola. Dovremmo immaginare noi stessi a raccontare balle a un pubblico di centinaia di persone, così scopriremmo che è più facile di quel che sembra. E lascia molto soddisfatti.
Thomas era quasi sempre fuori. Sembrava che Bianca non si preoccupasse che io potessi scappare. Se mi vedeva spostarmi senza meta per l’appartamento, alzava gli occhi dal Times che ogni mattino si faceva portare dalla guardia del corpo e mi rivolgeva un sorriso capace di sciogliere qualsiasi resistenza. Non erano rari, tuttavia, i momenti in cui l’altra parte di lei, quella oscura e sinistra, prendeva il sopravvento. Bianca Anderson poteva infervorarsi tantissimo per qualche dichiarazione fatta in televisione o perché un cibo non era abbastanza cotto. In quei momenti mi appariva paradossalmente ancora più attraente e vibrante di fascino. Se solo mi chinavo verso di lei per versarle gentilmente dell’acqua o del vino, sentivo il suo profumo farsi intenso e potente alle mie narici. Aprivo anche la bocca per aspirare tutta quella femminilità e non lasciarmene sfuggire nemmeno una goccia. Lei si rendeva benissimo conto di quanto mi avesse stregato, e continuava a stuzzicarmi, a farmi domande indiscrete con tono indifferente, in apparenza disinteressata e distratta, a tal punto da rovesciarsi del caffè sulla manica bianca della camicia, imponendomi, in virtù delle buone maniere, di asciugarglielo delicatamente e lentamente, attento a non estendere la macchia. Poi le gettavo un’occhiata furtiva, rapida, di sottecchi, sperando in un altro di quei sorrisi, ma tutto ciò che ne ricavavo era solo una gelida disapprovazione per come avevo riparato al danno da lei commesso, e dopo non riuscivo a far altro che un passo indietro, metaforicamente parlando, concludendo così le mie avances ancor prima di iniziarle. Rimanevo senza parole, un bambino che assisteva ai primi fuochi d’artificio della sua infanzia, una festa di paese dove tutti ballano e quando sei ragazzo inviti a ballare qualche ragazzina timida timida con le guance che le si colorano tene-ramente di rosso alla tua richiesta, e che poi ti saluta – buona-notte, mi sono divertita – con un bacetto sulla guancia – le guance! – che è delicato come il suo volteggiare mentre balla, la gonna che si alza e si riabbassa, i bambini che tentano di sbirciare, timidi anche loro. Lei si beava del mio silenzio impo-sto da un gesto, uno sguardo, una scortesia che io non potevo notare, il soggetto che interessa all’innamorato non è mai scor-tese o imperfetto proprio a causa dell’innamoramento che in-debolisce la capacità di ragionare lucidamente e inibisce i sensi in maniera a modo suo sadica, che richiede cattiveria per far soffrire ancor di più qualcosa che è già in pezzi per la troppa sofferenza. E io cosa potevo fare se non soccombere sotto questa pioggia di indecisioni e imbarazzanti staticità, come un mano che si blocca a metà strada mentre stava per andare ad accarezzarne un’altra ma poi si ferma per paura o forse per un ripensamento che è scaturito da chissà quale pensiero, ancora una volta ripeto a me stesso che la condanna dello scrittore è pensare troppo, rimane fermo e non fa niente, torna indietro quando dovrebbe andare avanti. Così non parlavo, non domandavo a quella donna infernale perché mai mi facesse tutto questo, perché mai fosse entrata nel mio cuore e l’avesse devastato, e a volte penso anche che lei non sappia, che non si renda conto di essere stata la spada che ha ucciso l’anima – l’anima! con che coraggio pretendiamo di avere un anima? come possiamo esserne sicuri? – di Charlie Collins. Le mie labbra si muovevano impercettibilmente per chiederle ciò che più mi premeva, poi interrompevano il movimento a mezz’aria, dotate di vita propria, come la mano che si è fermata e non ha accarezzato l’altra mano, le unghie laccate di rosso e il profumo inebriante, che distrugge le difese di un uomo, ma io ero un ragazzo, e un ragazzo vuole solo chiedere a una ragazzina timida timida se vuole ballare.

4 commenti:

  1. Le mie labbra si muovevano impercettibilmente per chiederle ciò che più mi premeva, poi interrompevano il movimento a mezz’aria, dotate di vita propria, come la mano che si è fermata e non ha accarezzato l’altra mano....

    Sospirone.

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