"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

giovedì 21 luglio 2011

15° Capitolo

Denver

– Morto stecchito, signora.
– Grazie, Thomas. Porta questo ragazzo sui sedili posteriori e fallo sdraiare. Poi dagli qualcosa da bere. Qualcosa che lo faccia… rilassare.
– Certo, signora.
L’uomo chiamato Thomas mi si avvicinò e mi prese in braccio, come fossi una piuma. In quel momento vidi solo che aveva i capelli quasi rasati a zero e che, come ho già detto, era enorme.
Bianca Anderson aprì la portiera di una Cadillac rossa fiammante e talmente pulita che sembrava (magari lo era) nuova di zecca. Thomas mi ci scaraventò dentro. Non neanche troppa delicatezza. Soffocai un grido di dolore.
La donna era piegata sui sedili anteriori e stava trafficando con qualcosa. Ne uscì con una bottiglia d’acqua e un bicchiere di vetro in mano. Poi uscì dalla macchina e mi voltò le spalle. La vidi portare una mano all’orecchio e togliervela con qualcosa in mano.
Le manca un orecchino, constatai.
Due minuti dopo Thomas fu di ritorno con il bicchiere d’acqua per me, ma io avevo capito che volevano farmi addormentare. Quella donna era il diavolo e ci aveva buttato dentro un sonnifero che teneva nascosto nell’orecchino.
– Non ho più sete.
Thomas mi prese la testa e mi appoggiò il bicchiere alle labbra, costringendomi a bere.
– Vaffanculo – sibilai quando ebbi bevuto tutto.
La guardia del corpo di Bianca Anderson non rispose, ma tornò impassibile al posto di guida.
Io mi sentii subito molto stanco e assonnato, e prima che po-tessi protestare in qualche modo, caddi nuovamente tra le braccia di Morfeo.

C’è una prerogativa del silenzio poco apprezzabile: sembra sempre che preceda la tempesta. E una tempesta di suoni, rumori e parole è sempre la più devastante delle tempeste.
Al mio risveglio, attorno a me sentivo rombare motori, suonare clacson, gridare uomini, donne, bambini. Subito si accese una lampadina nella mia testa, e capii di essere arrivato a Denver.
Notai un’altra cosa: nella dei miei jeans c’era il mio taccuino degli appunti con tutti i fogli della nuova storia, poiché quella vecchia l’avevo lasciata a Chris e Julia. C’erano però ancora alcune pagine di brutta. Fui molto felice nel constatare che il mio lavoro non era andato perduto.
– Oh, ben svegliato, caro.
Mi ritrovai di fronte la faccia di Bianca Anderson che mi fissava compassionevole dal sedile davanti. I finestrini anteriori erano aperti.
– Non ti preoccupare, Charlie, c’è solo un po’ di traffico, siamo quasi arrivati.
La guardai senza dire niente.
– Non mi piace quello sguardo, bambino mio. Non farti ve-nire in mente cattive idee.
La sua voce sembrava così dolce, che nemmeno mezza cattiva idea mi passò per la testa. In ogni caso, fu in quel momento che inizia a notare la doppia personalità di Bianca Anderson. Quando mi aveva trovato, all’inizio, aveva usato lo stesso tono di adesso, calmo e paziente. Quando, più tardi, mi aveva preso con me, i suoi modi si erano come trasformati, induriti. La voce le si era incrinata, il viso si era tutto teso come se si stesse duramente concentrando. Quel comportamento sfuggiva alla mia comprensione, ma ebbi il presentimento che più avanti avrei capito. E avevo ragione. Purtroppo avevo spesso ragione.
Potrei raccontare lo sgomento che mi avvinse quando arrivai a casa di Bianca Anderson. Potrei raccontare le mie paure quando mi accorsi che abitava al ventiquattresimo piano di un grattacielo, giacché soffrivo di vertigini. Oppure potrei raccontare il mio sgomento nel constatare che la tappezzeria e la moquette dell’enorme appartamento borghese erano di un terribile rosso scarlatto, tanto che la padrona di casa si poteva tranquil-lamente scambiare per un mobile.
Mi disse: – Bello, né?
Risposi: – Come l’inferno.
La verve di Bianca Anderson si andava accendendo insieme alle luci che illuminavano le stanze, trasformavano l’argenteria – prima spenta – in abbaglianti stelle terrestri e rendevano sanguinosi gli austeri ritratti alle pareti, nessuno dei quali, mi duole dirlo, superava in bellezza la donna che avevo di fronte. Avrei voluto che una donna di quei dipinti fosse più bella di lei. Forse non ne sarei più stato abbagliato. Ma si sa, ciò che splende e irradia luce è sempre stato motivo di persecuzione, e in seguito di dolore, per il genere umano.
– Charlie caro, non si parla dell’inferno paragonandolo a qualcosa di terrestre. Sarebbe come dire che Dio ci ha messi lui stesso tra le fiamme. È bestemmia.
– Per me l’unica bestemmia qui dentro è chiamarsi Bianca e vestire di rosso.
Fece un sorriso gelido.
– È solo un nome.
Scossi la testa. – Cosa vuole da me? La ringrazio per avermi salvato, ma ho come l’impressione che mi stia tenendo segregato.
– Segregato? – rise. – Ma sei qui da appena cinque minuti! Thomas! Chiama il ristorante del secondo piano e ordina la cena.
L’omone era comparso appena udito il suo nome. – Sì, signora.
– Che cosa vorresti, Charlie?
– Quello che vuole lei, non m’interessa. Dopo aver mangiato mi lascerà andare?
– Oh, quanta fretta.
– Molta.
Mi fissò negli occhi. Non distolsi lo sguardo.
– Purtroppo per te, la tua fretta non va incontro alle mie necessità che, come puoi immaginare, sono al momento più importanti delle tue. Ma non temere. Non ho intenzione di farti del male, se è questo che pensi.
Io la incalzai: – Voglio solo sapere cosa vuole da me. Non vedo che differenza possa fare il fatto che lei me lo dica.
Bianca sembrò esitare.
Era così bella! Anche quando esitava.
– Ti svelerò più avanti il motivo per cui ti ho portato con me. Per ora ti basti sapere che sei tenuto a non fiatare ogniqualvolta usciamo di qui. Non devi far sapere che ti tengo… come dire… prigioniero. Capisci?
Annuii piano.
– Poi io non rispondo di ciò che potrebbe fare Thomas. E a te non conviene scoprirlo. Lui picchia giù duro. Che questo ti basti. Dopo cena ti farà vedere la tua camera. Non provare ad uscirne in nessun modo, o metterò in atto le minacce.
Tacque per un istante, fissandomi pensierosa.
– A proposito, – disse, – lo sai che sei proprio carino?

Nessun commento:

Posta un commento