"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

giovedì 22 settembre 2011

Recensione libro: "Oltre il confine" di Cormac McCarthy


È il dolore ad addolcire ogni dono.

Grazie, Cormac McCarthy. Grazie all'infinito. Hai scritto il libro della mia vita. E ti chiedo scusa se lo chiamo libro. Ti chiedo scusa per quelli che lo hanno disprezzato e lo disprezzeranno. Perdonali, perché non sanno quello che fanno. Io non posso fare altro che inchinarmi davanti a tanta capacità letteraria. Non posso far altro che piangere sapendo che un autore ancora vivente ha prodotto questo libro. Sapendo che ha scritto queste pagine, che non è stato un dio a farlo.

Scusatemi, sto cercando di razionalizzare un po'. Sono sconvolto, davvero sconvolto. Sono arrivato all'ultima riga con gli occhi pieni di lacrime senza sapere neanche bene il perché. So solo che dentro ero completamente scosso. Ancora adesso faccio una fatica immensa a ragionare, a restare lucido. Le parole, di fronte a certe pagine, vengono meno.

Ci troviamo di fronte a un libro di livello superiore. Non so cos'altro leggerò, nei prossimi anni, ma qui la letteratura - e parlo della letteratura di tutti i tempi - tocca vette altissime. La maggior parte degli scrittori, io per primo, possono solo trascorrere la vita sognando di avere anche solo la metà della bravura di McCarthy, ma la verità è che non l'avranno mai. La verità è che Cormac McCarthy è il miglior scrittore che io abbia mai letto. La verità è che "The Crossing" (Oltre il confine) è talmente immenso che necessita sicuramente decine di riletture prima di poterlo comprendere a pieno. Prima di comprendere ogni riga, ogni parola. Prima di rendersi conto di star leggendo un "miracolo in prosa", come dice il retrocopertina. Prima di accorgersi che sono 370 pagine di poesia, non una di meno.

Le quattro parti in cui è suddiviso il libro sono una più bella dell'altra. La prima, quella che descrive il rapporto tra il protagonista e la lupa, credo comprenda le pagine più belle mai scritte sulla relazione che si può instaurare tra un essere umano e la natura. Le altre tre parti parlano d'altro, e non ho intenzione di accennarvi nemmeno una parola a riguardo.

McCarthy, quando scrive, lo fa scrivendo del lato umano più triste, più cupo, più nero. Lo fa di proposito, perché alla fine la vita è questo. Leggere questo libro è stato come guardare dentro un abisso e rimanere a fissarlo per tutta la durata della lettura. Un abisso che affonda le sue radici in te, come i tuoi occhi affondano le loro in lui. E da quell'abisso è impossibile uscirne. O forse ne esci, ma ne esci con una consapevolezza del mondo da togliere il fiato. Non guarderai più nemmeno un sasso allo stesso modo con cui lo guardavi pieno. McCarthy ha questo potere. Il potere di illuminare di una luce triste tutta la realtà. E poi non c'è nient'altro da fare se non piangere. E piangi per sfinimento, non perché il libro vuole commuovere. Non è quello il suo intento. A dire il vero il libro è così crudo e reale che commuovere è l'ultima delle sue intenzioni. Ma tu piangi perché alla fine non ce la fai più. Piangi perché i personaggi non ti dicono i loro pensieri. Tranne che nei dialoghi, McCarthy non te li dice. Tu lo capisci dai gesti cosa pensano. Tu lo capisci da come vedono il mondo. E il mondo che vedono è un mondo triste, triste, triste.

Ho sottolineato quasi tutto il libro. Ci sono intere pagine sottolineate di seguito. Molti passi li ho già trascritti, ma non li ripoterò nella recensione. Non ha senso, sono talmente belli che stonano con le mie parole.

Ho ancora qualcosa da dire. Vorrei dirvi leggetelo, ma sarebbe banale. Non ha senso leggerlo. Vi renderà solo persone più tristi. Vi renderà ancora più estranei a questo mondo che viviamo tutti i giorni. Vi farà credere che niente ha senso, che tutto quello che facciamo è inutile. Ed è terribile. Io credo che amare un libro così sia semplice. È facile che piaccia. Sia perché è scritto in modo sublime, sia perché McCarthy ha la miglior prosa che io abbia mai conosciuto, sia perché è poesia pura. Ma che lo capiate, che capiate quello che McCarthy vuole dire, be', quella è un'altra storia. Il fatto è che un libro di tale portata letteraria è presente nella maggior parte delle librerie italiane eppure nessuno che conosco l'aveva mai letto o sentito nominare. Toglietevi dalla testa "La strada", l'ultimo lavoro del Maestro. È un bel libro, è bello anche il film, ma qui siamo a livelli inconcepibili per noi comuni mortali. Qui tocchiamto l'apice dell'abilità letteraria che un uomo può raggiungere.

Quando ho detto che avevo ancora qualcosa da dire, intendevo qualcosa di lungo. Se siete stanchi, fermatevi qui. Seguiranno solo inutili soliloqui sulla bellezza di questo libro. Sto già pensando a come costruire l'altare a McCarthy in casa mia.

Billy è un ragazzo incredibile. Incredibile nella sua realtà di uomo, di essere umano. Incredibile nelle sue domande, nei racconti che ascolta durante il suo vagabondare. Ed è reso incredibile soprattutto dalle parole degli altri, da chi parla a lui di cose sconosciute, di ragionamenti sul mondo e sulla vita. Le storie che apprende nel suo viaggio sono molteplici. Le più importanti sono quelle del confronto tra il vecchio e il prete e quella del cieco. Quest'ultima è di una bellezza sconvolgente. Toccante a tal punto che non mi ritenevo degno di leggere. A tal punto da smettere e dirmi: tu non meriti di leggere parole così belle. Tu non meriti di leggere questo libro. Perché io sono nato e ho vissuto diciassette anni della mia vita aspettando di leggere il libro pubblicato l'anno della mia nascita. Ormai lo credo per certo. Ancora grazie, Cormac McCarthy. Mi sembra di deturpare il tuo genio solo parlandone. Anche io non so quello che faccio, perdonami, e io ti perdonerò di avere 78 anni e ti perdonerò il fatto che non saranno molti i libri che ti restano da pubblicare. Ma io mi accontento lo stesso. Io mi accontento del fatto che tu abbia donato al mondo "The Crossing". Tutti dovremmo accontentarcene. Cosa si può chiedere di più dalla vita se non la lettura di un romanzo di questa portata? Davvero, cosa si può chiedere dui più? La felicità, forse? La felicità non è niente.

Un'altra cosa che ho capito, e spero di averla capita nel modo giusto, è che il mondo è una storia. Che tutte le storie fanno parte di un'unica storia, e quella storia è il mondo. E che noi stiamo vivendo una storia, né più né meno. Piango di fronte a questa consapevolezza. Piango di fronte all'illusione del mondo, alla sua inconsistenza, alla sua leggerezza. Come dice Mccarthy, non si può tenerlo in una mano, perché è inconsistente. È una storia. È un'illusione.

Alla fine ho deciso che qualche cosa dovevo pur riportarla. È lunga, ma non può essere altrimenti:

Sono venuto come un eretico che fugge da una vita precedente. Stavo fuggendo.
È venuto a nascondersi?
Sono venuto per via del disastro.
Scusi?
Il disastro. Il terremoto.
Il terremoto, certo.
Stavo cercando prove dell'intervento di Dio nel mondo. Ero arrivato a credere che quell'intervento fosse dettato dall'ira e credevo che gli uomini non si fossero mai interrogati a sufficienza sui miracoli della distruzione. Sui disastri di una certa grandezza. Credevo vi fossero prove del fatto che tutto ciò era stato tenuto in scarsa considerazione. Pensavo che Lui non si sarebbe dato premura di cancellare tutti i segni del proprio intervento. Avevo molta voglia di sapere. Pensavo che magari Lui si divertisse addirittura a lasciare degli indizi.
Che genere di indizi?
Non so. Qualcosa. Qualcosa di imprevisto. Qualcosa fuori posto. Qualcosa non vero o improbabile. Una traccia nella polvere. Un gingillo caduto a terra. Non una causa. No di certo. Non una causa. Le cause non fanno altro che moltiplicarsi e conducono al caos. Volevo sapere cos'aveva in mente. Non potevo credere che distruggesse la propria chiesa senza alcuna ragione.
Crede forse che la gente di qui avesse fatto qualcosa di simile?
L'uomo fumò pensieroso. Sì, credevo che fosse possibile. Possibile. Come nelle città in pianura. Pensavo ci fossero prove di qualcosa di indicibile che l'avesse sollecitato a intervenire. Qualcosa tra le macerie. Tra la polvere. Sotto le vigas. Qualcosa di oscuro. Chi potrebbe dirlo?
Che cosa ha trovato?
Nulla. Una bambola. Un piatto. Un osso.
Si chinò e spense la sigaretta in una coppa di terracotta sul tavolo.
Sono qui a causa di una certa persona. Sono venuto a ricostruirne i passi. Forse a vedere se per caso vi fosse un percorso alternativo. Ma qui non si trova niente. Le cose separate dalle loro storie non hanno senso. Sono semplici forme. Di una certa dimensione e di un certo colore. Di un certo peso. Quando ne abbiamo perso il significato, non hanno più neppure un nome. La storia, d'altro canto, non può mai venir separata dal luogo al quale appartiene, perché essa è quel luogo. Ecco che cosa si poteva trovare qui. Il corrido. La storia. E come tutti i corridos, in fin dei conti raccontava soltanto una storia, perché ce n'è solo una da raccontare.
I gatti si muovevano, il fuoco scoppiettava nella stufa. Fuori, nel villaggio abbandonato, il silenzio più profondo.
Che storia è? domandò il ragazzo.
Nella città di Caborca, sul fiume Altar, visse un uomo, un vecchio. A Caborca era nato e a Caborca morì. Però visse per un certo periodo in questa città, a Huisiachepic.
Che cosa sa Caborca di Huisiachepic e che cosa sa Huisiachepic di Caborca? Sono mondi diversi, dovrai convenire con me. Eppure anche così c'è solo un mondo e qualsiasi cosa tu possa immaginare è un suo elemento necessario. Perché questo mondo che ci pare una cosa fatta di pietra, vegetazione e sangue non è affatto una cosa ma è semplicemente una storia. E tutto ciò che esso contiene è una storia e ciascuna storia è la somma di tutte le storie minori, eppure queste sono la medesima storia e contengono in esse tutto il resto. Quindi tutto è necessario. Ogni minimo particolare. È questa in fondo la lezione. Non si può fare a meno di nulla. Nulla può venire disprezzato. Perché, vedi, non sappiamo dove stanno i fili. I collegamenti. Il modo in cui è fatto il mondo. Non abbiamo modo di sapere quali sono le cose di cui si può fare a meno. Ciò che può venire omesso. Non abbiamo modo di sapere che cosa può stare in piedi e che cosa può cadere. E quei fili che ci sono ignoti fanno naturalmente parte anch'essi della storia e la storia non ha dimora né luogo d'essere se non nel racconto, è lì che vive e dimora e quindi non possiamo mai aver finito di raccontare. Non c'è mai fine al raccontare. E, ripeto, sia a Caborca che a Huisiachepic che in qualsiasi altro posto con qualsiasi altro nome o senza nome alcuno, tutte le storie sono una cosa sola. Se ascolti come si deve, sono una unica storia.

Voi cosa dite? Voi che parole pronunciate di fronte a un foglio e dell'inchiostro? Che potere avete voi, che potere abbiamo noi, davanti a un libro scritto in questo modo?
Io nessuno. Io sono un poveraccio, una nullità. Sto seriamente pensando di esauire tutti i caratteri a disposizione. Ma poi chi la legge, questa recensione? Ancora due cose, solo due.

Voglio solamente dire a chi è arrivato fino in fondo, che questi libri vi distruggono. Non vi cambiano la vita, non vi salvano. Vi distruggono. La bellezza ha quest'effetto.
L'ultima cosa che vi dico è di regalarlo a tutti coloro che conoscete. Non per distruggerli, ma per farli diventare come voi. Per farli rendere conto della vita e del mondo. Regalatelo e piangete pensando alle persone che amate che piangono leggendolo. Che piangono arrivando all'ultima parola. Arrivando al punto. Ci sono arrivato anch'io. Basta.

2 commenti:

  1. Siamo in due...dovendo fare una tesi su 5 premi Pulitzer ho sviscerato e amato "The Road" e da lì ho cominciato a leggere tutto di lui. Mi sono definitivamente innamorata leggendo "Outer Dark"...le immagini cruenti ma reali, l'America dei derelitti e lo sguardo di un bimbo innocente che non è stato voluto da nessuno se non dalla morte mi ha distrutto...ho sempre negli occhi l'immagina ultima del libro...lo sguardo ferito di quel bimbo che non riesco a dimenticare...Grazie McCarthy! E grazie ai lettori come te che apprezzano la poesia di questo autore.
    Annamaria

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  2. Assolutamente d'accordo. McCarthy ha scritto un capolavoro che lascia avvinti dalla prima all'ultima pagina, che si presta ad un appassionante lavoro di interpretazione perché è, nella sua essenza, inesauribile. Credo comunque che ci sia più speranza in questa trilogia di quanto può apparire.
    E questa è solo la parte centrale di un'opera tripartita che è più delle singole parti e aumenta ancora di più la sua bellezza e la sua profondità con Cavalli selvaggi e Città della pianura. Letto in originale si apprezza ancora meglio la grandezza dello scrittore e il suo stile (che tra l'altro varia un po' di libro in libro).

    Mario Iannaccone

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