"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

venerdì 2 settembre 2011

La felicità ripaga in profondità quel che le manca in lunghezza

Sappi solo che io sono il miglior padre del mondo, davvero. Tutti quelli che mi conoscono la pensano così e fino all'anno scorso, prima che gli affari cominciassero ad andare così bene, passavo un sacco di tempo con Yidò, ogni momento libero. Ancora oggi mi occupo di lui con devozione materna: lo nutro, lo vesto, lo pulisco, e persino in questo momento mi vengono le lacrime agli occhi pensando a quanto bene gli voglio, a quanto sia bello e a come io lo distrugga in continuazione. Cosa ne sarà di lui, Myriam? La linea delicata e fragile del suo mento, la sua solitudine in un gruppo di bambini. Il sorriso incerto, insicuro, che io ho creato per infierirvi contro, senza pietà. Cosa ne sarà di lui, davvero? Una volta potevo indovinare quasi ogni suo pensiero e avevamo il nostro lessico privato. Naturalmente usavamo le loro parole, ma erano nostre, perché le avevo scelte per lui dentro di me. Quasi tutte le parole che ha imparato fino a tre anni gliele ho insegnate io. Gli dicevo: "Ecco un uccello. Ripeti: uccello". E lui mi guardava affascinato, dicendo: "uccello". Solo dopo averla ripetuta la parola diventava sua. Come se io l'avessi masticata e gliela avessi messa in bocca. Era questo il nostro rituale per ogni nuova parola. C'erano persino delle lettere che volevo pronunciasse in un certo modo - una "esse" piena e non leggermente sibilante come la mia, o una "erre" gutturale e virile (come quella di Moshe Dayan, ricordi?)... Non ridere di queste stupidaggini. Mi sentivo come se gli stessi porgendo i primi mattoncini di Lego per costruire il suo mondo, e così facendo penetravo ulteriormente in lui, gli lasciavo un'impronta, esistevo in lui come, forse, non esisto in nessun altro luogo della terra. Capisci? Improvvisamente avevo affondato le radici. Cosa non ho fatto per esistere dentro di lui! Stavo chino sul suo letto quando dormiva, gli passavo una mano sul viso e gli disegnavo i sogni con le dita. Gli sussurravo parole allegre nell'orecchio perché giungessero fino alla fabbrica dei sogni e, all'occorrenza, li rendessero più dorati. Avrei fatto qualunque cosa per divertirlo. E lui rideva con me...

─ David Grossman, 'Che tu sia per me il coltello'

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