"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

martedì 23 agosto 2011

30° Capitolo

Una conversazione

D’un tratto provai una pietà assoluta per quella donna che a suo modo mi aveva tanto amato e che io non ero stato capace di ricambiare appieno. Ero un essere ripugnante, e probabilmente in quel momento lo pensava anche Chris.
– Io non…
– Tu sei strano, Charlie. Non so se in senso buono o no. Il fatto è che nessuno può capire cosa c’è dentro la tua testa se prima non lo capisci tu. Devi farci i conti, devi affrontarlo.
Anche Chris si accese una sigaretta, ma io rifiutai.
– Non sono più ricca come una volta, Charlie. Ho a malapena i soldi per pagare Thomas. Mi sono messa a giocare d’azzardo dopo che te ne sei andato, ma non ho avuto molta fortuna. Chi è il tuo amico?
– Mi chiamo Christopher, signora Anderson – disse Chris porgendole le mano.
Lei gliela strinse senza troppo entusiasmo. – Cosa ci fate a New York?
Chris non rispose e guardò me.
– Oh, – fece Bianca, – il nostro Charlie ha ripreso a viaggiare per trovare la sua ragione di vita. Non è così? Entrambe le volte sei finito dritto da me, non è buffo? Ma adesso non è più come l’altra volta. Adesso io sono stanca e tanto, tanto arrabbiata con te. Se non urlo è perché ho perso anche la forza di urlare, Charlie. Ho perso la speranza. Tu che viaggi dovresti saperlo meglio di me. Senza speranza non siamo niente.
Vidi quello che mai mi sarei aspettato di vedere: una lacrima nell’angolino del suo occhio sinistro. Quella lacrima urlava molto di più di quanto lei avrebbe immaginato.
– Io volevo chiederti scusa – dissi infine.
Bianca ridacchiò, ma non c’era la minima traccia di felicità nella sua risata. – A volte si fanno cose che non potranno mai essere perdonate, nemmeno se vivessimo cento vite. Lo sai cos’ho pensato quando hanno ucciso Kennedy? Ho pensato che nonostante non me ne fregasse nulla di lui, avrei voluto essere con te in quel momento. Viverlo con te. Oppure quando c’era il rischio dei missili nucleari. Avevo un disperato bisogno di spettinarti i capelli, Charlie. Ma tu non c’eri. E io ero sola. L’amore porta a esseri soli.
– Io sono sempre stato solo – sussurrai quasi impercettibilmente. – Anche se Chris c’è sempre stato, e non solo lui, io sono sempre stato solo. Ancora non so se è una cosa normale per noi adolescenti, ma ho il sospetto che anche tantissimi adulti si sentano così. Soli anche in mezzo alla gente che ci vuole bene. Prova a pensare a una persona ubriaca. Se ci pensi bene ti renderai conto che dopotutto è triste, e anche un po’ deprimente. E adesso pensa a una persona normale, una qualsiasi; di quelle che incontri quando vai a fare la spesa o prendi il treno. A me mettono tristezza entrambe, non so cosa farci. Se devo essere sincero è proprio la gente che mi deprime.
Ci un momento di silenzio mentre mi accorsi che la luce stava diminuendo e presto sarebbe stata sera. Non c’erano luci accese nel salotto. Solo le sigarette di Bianca e Chris risaltavano nella penombra.
– Forse è il destino dei cuori spezzati continuare a spezzarsi – disse Bianca. – Tu non sai niente del mio passato, né mi hai mai chiesto qualcosa. E hai fatto bene, perché non te l’avrei detto allora e non te lo dirò nemmeno adesso. Sappi però che quando te ne sei andato mi hai spezzata per sempre e dubito che qualcuno potrà mai riaggiustarmi.
Fui sul punto di piangere anch’io. Quant’ero debole di fronte a lei! Quanto l’amavo! L’avrei sempre amata, non importa cosa sarebbe successo. Il mondo avrebbe potuto capovolgersi, avremmo camminato sul cielo e osservato la terra sopra le nostre teste, ma io l’avrei sempre amata. E non avrei amato il suo ricordo, avrei amato lei e solo lei.
– Non volevo – dissi solo.
– Nessuno vuole mai ferire, Charlie. Ma succede lo stesso.
– Ha fatto male a me tanto quanto ne ha fatto a te – provai a replicare.
Lei scosse la testa. – Io sono chiaramente caduta in disgrazia, Charlie. Tu no, hai solo vent’anni e sei ancora in tempo per dimenticare tutto.
– Non posso dimenticare.
– Ma lo farai. Per il mio e per il tuo bene.
– Come puoi dire che dimenticare è un bene?
– Perché ricordare ci porterà solo sofferenza. Vuoi essere triste per tutta la vita, Charlie? È evidente che tu non sei mai stato felice, che anche quando ti sei ritenuto tale non lo sei stato veramente.
– Io sognavo l’Islanda, una volta. Credevo che lì mi sarei sentito a casa.
Mi guardò sorpresa. – Non capisco.
– Nemmeno io, è una cosa che non sono mai riuscito a spiegarmi.
– Io credo – e infuse una tale serietà a quelle parole che non potei fare a meno di pendere dalle sue labbra – che sia finalmente ora per te di cambiare strada, di smetterla di fuggire da casa, da chi ti ama e ti vuole bene. Io non so se Dio esiste, né mi interessa saperlo. Non penso ci sia solo un essere umano su questo pianeta degno di finire in paradiso. Però sono sicuro che se esiste Dio non è perfetto, perché il mondo fa schifo, e non lo dico a causa delle mie delusioni, lo dico perché è chiaro che vivere qui, più che vivere e basta, è la cosa più difficile della nostra vita. Diffida di chi ti dice di sognare, Charlie. Non esiste seguire i propri sogni, non esistono sogni. Essere buono non ti porterà felicità. Essere te stesso invece sì, essere l’insieme di odio, amore, speranza e tristezza che c’è in ognuno di noi, quello potrà farti essere felice. Tutti noi siamo capaci di odiare. E se c’è da odiare, ben venga. L’errore sarebbe sopprimere l’odio. Lasciandolo uscire diventiamo più noi stessi di quanto tu possa renderti conto.
Non sapevo cosa risponderle.
– Thomas, – disse Bianca, – potete lasciarci un attimo soli?
Io lanciai un’occhiata a Chris. Il mio amico mi annuì e se ne andò insieme alla guardia del corpo.
Bianca si alzò dalla sua poltrona e venne sul divanetto di fianco a me. Mi appoggiò la testa alla spalla e chiuse gli occhi.
– Lasciami così per dieci minuti – mormorò. – Non chiedo altro.

***
Quando si scostò mi prese il mento con la mano destra e mi guardò negli occhi. E questa volta fu lei a baciarmi. Fu il primo bacio tra di noi in cui lei non si comportò com’era suo solito. Mi baciò lentamente, quasi con paura di farmi del male, quasi scusandosi di quello che stava facendo.
Ma come potevo scusarla se era l’unica persona che potesse darmi quei pochi istanti di felicità che per tre anni non avevo avuto?
– Vieni via con me – le dissi.
– Non posso.
– Vieni via lo stesso.
– Non posso.
– Neanche io posso lasciarti ancora una volta. Neanche io posso.
La abbracciai piangendo, e lei rispose all’abbraccio. Mi strinse come se fosse mia madre e non la donna che amavo.

1 commento:

  1. E' certamente uno dei miei preferiti. Ed è molto vivido, sembra uscito dalla sequenza di un film.

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