"Non basta godersi la bellezza di un giardino senza dover pensare che in un angolo ci siano le fate?"
- Douglas Adams

domenica 28 agosto 2011

Nessuno tocchi Freddie - Prologo




– Provi a spostare il cavallo, signorino Friedrich – gli sussurrò il maggiordomo all’orecchio.
Il bambino alzò gli occhi dalla scacchiera e fissò per un istante sua nonna, che non batté ciglio. Pochi riuscivano a sostenere quello sguardo che, seppur giovane, incuteva timore a causa delle iridi di un azzurro chiarissimo. Sua nonna, che lo conosceva da sempre, era una di quei pochi.
– Non suggerire, Jeeves – disse la nonna al maggiordomo. – Freddie è ben capace di vincere da sé.
Tuttavia il bambino accolse il consiglio e spostò il cavallo verso destra, in avanti.
– Scacco matto – sussurrò, impassibile.
La nonna ridacchiò allegramente. Non rideva spesso, di solito era molto severa. Il bambino le voleva bene, e così anche lei; ed essendo entrambe persone austere e serie, per quanto austero possa essere un bambino, insieme riuscivano a divertirsi, sebbene nessun abitante della Città avrebbe condiviso quel particolare tipo di divertimento.
– È quasi ora che tornino i tuoi genitori – commentò l’anziana donna guardando il suo orologio da polso. – Non mi piace che ritardino.
Le rughe sulla sua fronte s’increspavano sempre quando i genitori di Friedrich erano in ritardo. Aveva capelli radi e bianchi, occhi a mandorla e una voce sottile, limpida.
– Un’altra partita? – chiese il bambino.
La nonna scosse la testa. – Devo andare a preparare la cena. Jeeves, pensa tu a Freddie. Se volete giocare voi due, fate pure.
Il maggiordomo, un uomo allampanato sulla cinquantina, si sedette sul divanetto dove un istante prima c’era seduta la nonna e si mise a riposizionare i pezzi sulla scacchiera. Il bambino sedeva su un altro divanetto.
– Ultimamente la nonna è nervosa – disse il bambino con la sua voce atona.
Jeeves sospirò. – A dirle la verità, signorino Friedrich, anche a me sembra nervosa.
Fecero una partita e il bambino vinse ancora. L’espressione sul viso del maggiordomo era eloquente; si sarebbe detto che era palese la vittoria del bambino ancor prima che iniziassero a giocare.
Si trovavano in un salotto arredato sfarzosamente, c’erano mobili d’antiquariato, un pianoforte a coda, vasi e oggetti di cristallo, un grande tappeto in pelle, un grandissimo orologio di vetro appeso a una parete e un tavolino – su cui posava la scacchiera – al centro dei due divanetti. Poltrone imbottite, scaffali stracolmi di libri e il tutto perfettamente in ordine e pulito.
Prima che potessero iniziare la rivincita, si sentì una chiave girare in una serratura qualche stanza più in là, e udirono la voce della nonna dire: – Eccoli, finalmente.
Il cigolio della porta che si apriva li raggiunse e si alzarono per andare ad accogliere i padroni di casa.
Jeeves si fiondò all’ingresso senza aspettare il bambino. I genitori di questo erano in piedi poco oltre la porta mentre il maggiordomo si impegnava a togliergli le giacche di dosso e metterli sull’appendiabiti.
La madre del bambino gli andò incontro, lo baciò sulla fronte e gli disse: – Tutto bene, Freddie?
Lui annuì gelido. Suo padre gli fece un cenno col capo.
Cenarono in religioso silenzio. Jeeves portava i piatti e poi si sedeva a mangiare qualcosa anche lui. Il bambino intuiva che c’era qualcosa d’importante di cui i suoi genitori avrebbero dovuto discutere con la nonna, ma non erano chiaramente intenzionati a farlo in sua presenza.
Terminato di mangiare, i suoi sospetti furono confermati. Sua madre gli chiese gentilmente se poteva andarsene di là a leggere.
Senza rispondere si alzò e mosse i suoi passi fuori dalla sala da pranzo, ma ciò non servi a niente. Voleva sentire, e avrebbe sentito.
Era fuori dalla porta socchiusa e si preparava a origliare quando udì dei lievi passi accanto a lui.
Jeeves lo guardò serio. – Non dovrebbe, signorino Friedrich.
– Anche tu sei qui per ascoltare – disse semplicemente il bambino. – Allora ascolta con me.
La prima voce che si udì fu quella del padre, e chiaramente si stava rivolgendo alla nonna: – Ciò che avevi sentito è vero, Miranda. I pozzi sono esauriti o avvelenati. Abbiamo ancora due, massimo tre mesi, prima che tutti lo vengano a sapere. Sarà il finimondo. I proprietari dei pozzi se ne andranno in altri paesi con le scorte più massicce, lasciando noi cittadini ad ammazzarci tra di noi finché l’ultima goccia d’acqua non sarà stata bevuta. Noi, non possiamo scappare, Miranda, lo sai bene. Ci vuole almeno un mese di viaggio prima di raggiungere un luogo abitato, e non possiamo comprare scorte per un tempo così lungo senza destare sospetti. E anche se riuscissimo, andarsene sarebbe un’impresa.
Il bambino udì sua madre scoppiare a piangere.
– Ma perché i pozzi si sono esauriti? – chiese la nonna.
– Una malattia, un virus, chi lo sa. Il mare da solo non può soddisfare i bisogni della Città. I proprietari riusciranno a fingere per qualche settimana depurando l’acqua salata, ma poi risulterà chiaro a tutti che non c’è più niente da bere.
Il bambino guardò Jeeves e vide che l’uomo era pallido e tremava visibilmente.
La nonna fece un’altra domanda: – Hai idee?
Dal tono della voce si sarebbe detto che la questione non la toccasse minimamente.
– Sì. Sono già d’accordo con Henry di chiuderci nella sua cantina per tutto il tempo necessario. Almeno finché nella Città non sarà rimasto quasi nessuno. Giorno per giorno accumuleremo più scorte d’acqua possibili.
– Non portarle a casa sua.
– Perché, Miranda?
– Henry è un uomo che, come te, ama la sua famiglia, ma è anche senza onore. Non fidarti di lui, portagli alcune delle scorte e il resto lasciale a casa nostra. Avrai tempo di trasferirle all’ultimo momento.
La madre del bambino parlò tra i singhiozzi: – Freddie non deve vedere niente di quello che succederà. È già così… serio. Non ho idea di che effetto potrebbe fare su di lui vedere le persone uccidersi per un po’ d’acqua. La Città era destinata a questo orribile destino da quando è stata costruita… troppo lontana dal resto del mondo.
– Friedrich non vedrà nulla – rispose convinto il padre del bambino. – Nessuno di noi vedrà nulla.
E intanto il bambino pensava che invece avrebbe voluto vedere tutto.
– Risparmia più acqua che puoi, Miranda – concluse il padre. Si udì il rumore di una sedia che si spostava: si era alzato. – Ne avremo bisogno.
– Via, signorino Friedrich – mormorò Jeeves tirandolo per il braccio.

Il bambino contò i giorni e si accorse che suo padre aveva ragione: i proprietari dei pozzi non riuscirono a fingere per più di due mesi e mezzo. Un pomeriggio di fine primavera c’era già gente che tornava a casa carica di bottiglie d’acqua senza darsi pensa di nasconderle. Alcuni se la ridevano e dicevano che era tutta una farsa, era impossibile che l’acqua fosse finita.
Poi i venditori annunciarono che avevano tagliato i rifornimenti e non ne avevano più da vendere.
Quel giorno, il bambino, la nonna e il maggiordomo chiusero tutte le imposte e si barricarono in casa. Le strade stavano già diventando un inferno.
– Abbi fiducia nei tuoi genitori, Freddie – gli disse la nonna. Non gli diceva mai di pregare. La preghiera era per i deboli, ripeteva spesso.
Alle nove di sera, in ritardo di due ore, suo padre e sua madre fecero ritorno.
Il bambino notò subito, dall’espressione sui loro volti, che c’era qualcosa che non andava.
– Henry se n’è andato! – sbottò suo padre. – Anche con la scorte d’acqua che gli avevo portato! Maledetto figlio di puttana! Avrei dovuto darti più ascolto di quello che tu pretendevi da me, Miranda.
La nonna gli rispose dolcemente: – Non importa, ce la faremo ugualmente.
– No, serve più acqua. Io torno fuori.
A nulla valsero le suppliche della moglie e dell’anziana donna.
– Alfred! Per carità torna dentro, Alfred! – urlò la prima.
Lo videro fare cinquanta metri nella via affollata. La gente sembrava impazzita, correva da tutte le parti urlando.
– ALFRED!
Il padre del bambino adocchiò una bottiglia d’acqua in un angolo e vi si gettò sopra. Non fece in tempo a rialzarsi che si udì uno sparo. Un uomo vestito di stracci con in mano una pistola gli si avvicinò e diede un calcio al corpo già senza vita.
– Chantal! – gridò la nonna. – No!
La madre di Friedrich si gettò nella mischia. – Alfred! Alfred!
L’uomo la vide correre verso di lui e sparò anche a lei.
Il bambino osservò il tutto in silenzio. Sentì lontanamente la mano forte di sua nonna che lo tirava indietro e gli gridava di non guardare. Le ultime immagini che ebbe del mondo di fuori furono sua madre che veniva calpestata dalla folla in fuga e l’uomo coperto di stracci che sparava a chiunque avesse con sé dell’acqua.
Giurò a se stesso che l’avrebbe ucciso. Giurò che non uno di coloro che aveva osato calpestare il corpo di sua madre sarebbe morto da solo. Li avrebbe uccisi tutti lui. Si impresse nella mente ogni singolo volto, ogni dettaglio che potesse farglieli riconoscere anche anni più tardi.
Lui, Friedrich Evans, un bambino di soli undici anni, giurò che per mano sua quella città sarebbe stata epurata. L’odio con cui era vissuto fin dalla nascita gli si riversò fuori in quel momento. Odiava l’essere deboli delle persone, il panico che si impadroniva di loro nell’ipotesi della morte. Odiava la gente, e l’avrebbe punita per questo.

3 commenti:

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